Sta prendendo sempre più piede, anche nelle città italiane, un’iniziativa che ha già trovato ampi consensi in molti Paesi europei. Sono le “zone 30”, come vengono definite quelle aree della rete stradale urbana in cui la velocità massima consentita è di 30 chilometri orari invece dei canonici 50. In Italia la prima ad abbassare il limite è stata Olbia nel 2021, ma sono pronte a seguirla Bologna e Milano rispettivamente a giugno 2023 e 2024. In Europa a far parte del club delle “città 30” già da tempo ci sono capitali europee come Parigi, Amsterdam, Berlino, Bruxelles e Copenaghen.

Migliore convivenza con bici, monopattini e pedoni
La zona 30 punta a ridurre gli incidenti e provocare meno morti in strada; una minore velocità diminuisce lo spazio di arresto in frenata dei veicoli e abbassa consumi ed emissioni nei centri urbani. Il limite è ridotto a 30 km/h proprio per permettere una migliore convivenza con mezzi tipo biciclette e monopattini elettrici, ma anche e soprattutto con i pedoni. Secondo i dati di Aci-Istat, infatti, oltre il 70 per cento degli incidenti in Italia nelle città avvengono per l’eccesso di velocità. E questi sinistri provocano il 43,9 per cento dei morti e il 69,7 per cento dei feriti che si registrano in ambito urbano in un anno. Le zone 30 si possono realizzare in qualsiasi tessuto urbanistico, con l’unico vincolo legato al fatto che le strade adiacenti non devono essere a velocità di percorrenza maggiori di 50 km/h.

A Bruxelles meno velocità e tempi di percorrenza uguali
Analizzando i dati di diverse città europee a zona 30, viene in effetti registrata una riduzione degli incidenti. A Bruxelles il limite è stato introdotto a inizio 2021; sei mesi dopo, l’Agenzia europea per l’ambiente aveva segnalato una diminuzione tra il 7 e il 19 per cento della velocità media, con i tempi di percorrenza rimasti inalterati. La vera vittoria era stata però il calo dei sinistri, -20 per cento nei primi due trimestri, circa 200 in meno dello stesso periodo dell’anno prima. In tutta la Svizzera dall’introduzione delle prime zone 30, nel 2000, gli incidenti automobilistici sono calati del 15 per cento e i feriti del 27 per cento.
Nelle ore di punta viaggiamo come sulle carrozze dell’Ottocento
Il padre di questa rivoluzione in Italia è l’urbanista Matteo Dondè. «Nelle nostre città la velocità media nelle ore di punta è di 18-20 chilometri orari, che equivalgono alla velocità delle carrozze nell’Ottocento. Questo perché le automobili sono troppe», ha spiegato in un’intervista a Repubblica. Secondo Dondé, a 30 chilometri orari il traffico diventa più fluido, si hanno meno accelerazioni e frenate, oltre a esserci meno inquinamento.

I detrattori: traffico congestionato e più polveri sottili
Non mancano però le voci contrarie: alcune associazioni hanno lanciato l’allarme per gli ingorghi che si verranno a creare con il timore di tempi di percorrenza più lunghi, mentre altre sollevano il tema dell’aumento dello smog. Daniele Vincini, segretario regionale del Sulpl – il Sindacato unitario lavoratori polizia locale – in un’intervista a il Giornale aveva avvisato: «La causa principale degli incidenti stradali è la guida distratta, con il cellulare o il navigatore di bordo e non per eccesso di velocità. Rallentando, è evidente che il traffico sarà nettamente più congestionato, con il conseguente aumento delle emissioni di polveri sottili».
«La bicicletta è di sinistra e l’auto è di destra»
Per quanto riguarda Milano, Vincini ha detto che la cerchia dei Navigli «ha già il limite di 30 km/h, così il 15 per cento della città ha Ztl per zone 30: ma chi le rispetta? Come il divieto di fumo alla stadio di San Siro: chi lo fa rispettare?». A Bologna il piano di estendere a zona 30 tutta la città aveva incontrato l’opposizione della Lega, che a novembre dello 2022 aveva avviato una raccolta firme dal titolo “La bicicletta è di sinistra e l’auto è di destra”.

È da 20 anni che ci proviamo, ma l’opinione pubblica…
Nonostante rispetto all’Europa l’Italia sia rimasta indietro, le zone 30 appaiono in diversi documenti regionali legati alla sicurezza stradale nei primi anni 2000: in un piano datato 2006 della Regione Piemonte si parla di queste come «il tipo di azione più efficace per mettere in sicurezza lo spazio della mobilità interna agli ambiti residenziali». Già quasi vent’anni fa si segnalava però la difficile conciliazione con l’opinione pubblica, a causa «della scarsa conoscenza della questione, per cui si teme che le misure possano allungare i tempi di percorrenza, creare disturbo ai mezzi di soccorso, aumentare il consumo energetico dei veicoli e le emissioni di sostanze inquinanti». Sentite le voci contrarie, si può dire che ci avevano visto lungo.