A 11 giorni dall’inizio di Sanremo, gli occhi di tanti sono puntati sulla finale dell’11 febbraio. Ci vorrà tempo, ma fa discutere ormai da giorni la scelta di Amadeus e della Rai di ospitare in videomessaggio Volodymyr Zelensky. Annunciata da Bruno Vespa, che probabilmente ha spiazzato perfino il direttore artistico, la presenza del presidente ucraino ha trovato la forte opposizione di tanti. Le polemiche sui social dei pacifisti si sono trasformate in una manifestazione che è stata organizzata per sabato 11 febbraio, in favore della fine delle ostilità. Al fianco dei contestatori si sono schierati molti intellettuali. Ora tocca al mondo della politica: da Salvini e Grillo a Calenda e Conte, in tanti hanno criticato la scelta di associare il festival a un tema come la guerra.

Gli intellettuali protestano: ci sono Carlo Freccero e Moni Ovadia
Alla manifestazione di sabati 11 febbraio aderirà anche un gruppo di intellettuali che ha firmato un manifesto di protesta. Sono stati Franco Cardini, Carlo Freccero, Joseph Halevi, Moni Ovadia e Paolo Cappellini, tra gli altri, a redigere il documento in cui si legge: «Abbiamo appreso con incredulità che interverrà Zelensky, capo di Stato di uno dei due Paesi che oggi combattono la sanguinosa guerra del Donbass. Una guerra terribile, fomentata da irresponsabili invii di armi e da interessi economici e geostrategici inconfessabili». E ancora: «Come italiani abbiamo il dovere costituzionale di ripudiare. Ci mettiamo a disposizione per parlare al popolo italiano, che a tal fine invitiamo alla mobilitazione sabato 11 febbraio a Sanremo, per partecipare ad una grande assemblea popolare di piazza».
«L’Italia deve uscire dalla guerra»
«L’Italia deve uscire subito dalla guerra interrompendo ogni aiuto diretto o indiretto a una delle parti in conflitto. Riteniamo tragicamente ridicolo e profondamente irrispettoso di un’ampia fetta dell’opinione pubblica che non si riconosce nelle politiche militari dei governi Draghi e Meloni il fatto che Zelensky sia invitato a Sanremo». Freccero ha poi aggiunto: «Zelensky si esibisce su tutti i palcoscenici e alle sue performance da star mancava solo Sanremo. La mia generazione è cresciuta col tabù del nucleare. Oggi Zelensky ci presenta la guerra con la leggerezza di un musical tra canzoni e siparietti di costume. Bisogna riacquistare il senso della realtà e del pericolo. Non siamo in un film. Ci sono e ci saranno morti reali e vittime reali. La società dello spettacolo non era mai arrivata a tanto». Anche altri intellettuali hanno contestato la scelta, come Vauro che ha parlato nei giorni scorsi e spiegando che invierà una sua vignetta, e Fabio Volo, che ha dichiarato in diretta radio che «fatica a capire».

La politica: Salvini, Grillo, Calenda, Conte e Cuperlo tra chi critica
Fronte ampio di contestazione anche in politica. Si va dalla destra alla sinistra, senza distinzioni. Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, dichiara: «Speriamo che Sanremo rimanga il festival della canzone italiana e non altro. Avranno fatto le loro valutazioni, quello che spero è che la guerra finisca il prima possibile e che il palcoscenico della città dei fiori rimanga riservato alla musica». Pensiero simile a quello di Carlo Calenda. Il leader di Azione twitta: «Ci sono pochi dubbi sulla nostra linea di sostegno all’Ucraina. Ritengo tuttavia un errore combinare un evento musicale con il messaggio del Presidente di un Paese in guerra». Idem Giuseppe Conte, ex premier e ora presidente del M5S: «Fui molto contento quando il presidente Fico invitò il presidente Zelensky alla Camera. Non credo però che ora sia così necessario avere Zelensky in un contesto così leggero, come quello di Sanremo». Con loro anche, tra gli altri Beppe Grillo, Gianni Cuperlo, l’ex 5 stelle Alessandro Di Battista, Maurizio Gasparri e Stefano Patuanelli.
La diffida alla Rai presentata ieri dall’Associazione utenti
E poi ci sono i cittadini. Ieri l’Associazione utenti dei servizi radiotelevisivi ha presentato una diffida ufficiale alla Rai chiedendo alla Commissione di Vigilanza di non mandare in onda il presidente ucraino. «Un festival musicale», scrivono, «per di più trasmesso da una rete di Stato finanziata dai cittadini che pagano il canone, non può diventare un palco politico, indipendentemente dall’aggressione subita dall’Ucraina e da chi abbia torto o ragione. Il rischio concreto è quello di trasformare l’Ariston in un teatro di propaganda dal quale chiedere più armi e interventi dello Stato a favore dell’uno o contro l’altro, contravvenendo agli obblighi del servizio pubblico che impongono alla Rai equilibrio, pluralismo e par condicio».