La guerra in Yemen minaccia il Gran premio di Formula 1 in Arabia Saudita

Giovanni Sofia
23/03/2022

Un attacco con missili e droni ha colpito la città di Jeddah, dove domenica si correrà il Gp di Formula 1 che però non dovrebbe essere in discussione. Il lancio rivendicato dai ribelli Huthi che combattono in Yemen è l'ennesimo episodio di una guerra lunga sette anni.

La guerra in Yemen minaccia il Gran premio di Formula 1 in Arabia Saudita

Gli organizzatori sauditi per ora minimizzano l’accaduto. Spiegano come il prossimo weekend di Formula 1 «non sia in discussione». Che il contatto con le autorità competenti sia costante e la sicurezza per piloti, scuderie e pubblico garantita. Eppure le questioni geopolitiche continuano a tenere con il fiato sospeso il paddock. Annullato nelle scorse settimane il gran premio di Sochi, risposta del circuito all’invasione russa in Ucraina, adesso un nuovo conflitto minaccia il calendario e la gara in programma a Jeddah domenica.

La guerra in Yemen e l’attacco dei ribelli all’Arabia Saudita

La guerra in Yemen imperversa da sette anni esatti, rientra nella categoria di quelle “dimenticate”, troppo lontana dagli occhi delle telecamere occidentali per riuscire a influenzare l’opinione pubblica. Specie adesso con le attenzioni rivolte tutte a Kyiv. Cominciata nel marzo 2015, vede contrapposti da una parte i ribelli Huthi, sostenuti dall’Iran e in controllo della capitale Sana’a, dall’altra le forze lealiste appoggiate dall’Arabia Saudita e guidate dal presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, il cui governo è stabilito ad Aden. Si spiega così perché mentre domenica scorsa la Ferrari tornava al successo, dominando il Gp del Bahrein con Leclerc e Sainz, la battaglia ha travalicato i confini yemeniti, sbarcando in Arabia Saudita, colpita da un fitto lancio di missili balistici e da un attacco condotto con almeno quattro droni, poi distrutti dalle forze locali. Nessuna vittima, ma diverse le aree del paese interessate.

Tra queste, la regione di Jizan, in cui si trova Jeddah, dove tra un paio di giorni si correrà. L’agguato ha provocato un incendio a un impianto petrolifero Aramco, sponsor dell’Aston Martin e dell’intera manifestazione automobilistica. Ha recato danni danni anche a una struttura di desalinizzazione dell’acqua a Al-Shaqeeq, sulle coste del Mar Rosso, e a una centrale elettrica a Sud Ovest. Non è una novità, scene simili oltre che in Arabia Saudita si erano già vissute negli Emirati Arabi, entrambi ritenuti colpevoli di supportare la causa del governo centrale yemenita, nonostante questi ultimi abbiano ufficialmente ritirato le loro truppe dal Paese nel 2019. Poche ore dopo, attraverso il portavoce, Yehia Sarie, l’agguato è stato rivendicato dagli Huthi: «È stata lanciata una vasta operazione militare in Arabia Saudita», ha detto. Un ulteriore grana, dunque, si aggiunge a una gara che nel tempo è diventata oggetto di discussione, contestata da più voci per il mancato rispetto dei diritti umani nel Paese.

La guerra in Yemen minaccia il Gran premio di Formula 1 in Arabia Saudita
Una città distrutta in Yemen (Getty)

Yemen, la guerra dimenticata e le condizioni per le trattative

L’episodio, però, è servito ad accendere i riflettori su una guerra troppo spesso lasciata fuori dai racconti dei media. La cui fine appare lontana. Non è un caso infatti che l’offensiva sia giunta dopo il tentativo del Consiglio di cooperazione del Golfo con sede in Arabia Saudita di effettuare dei colloqui tra le parti a Riyad. I ribelli, pur non escludendo del tutto la trattativa, hanno rispedito al mittente la proposta, spiegando come si siederanno a un tavolo soltanto in uno Stato neutrale al conflitto e nel caso in cui le forze saudite lasceranno le aree controllate dagli Huthi. Che intanto hanno tentato l’assalto a Marib, città ricca di petrolio e tra le ultime roccaforti del governo centrale nel Nord dello Yemen.

La guerra in Yemen minaccia il Gran premio di Formula 1 in Arabia Saudita
Le forze governative dello Yemen impegnate in guerra (Getty)

L’emergenza umanitaria in Yemen, dove muore un bambino ogni nove minuti

Sullo sfondo resta un paese dilaniato dal conflitto e travolto da una gravissima crisi umanitaria. Per le Nazioni unite, «la più grave del mondo». Le vittime dallo scoppio delle ostilità sono state centinaia di migliaia, milioni gli sfollati. Il tutto nell’indifferenza generale, testimoniata dalla delusione dell’Onu per l’esito della raccolta fondi lanciata a sostegno della popolazione, da cui sono stati ricavati 1,3 miliardi di dollari a fronte dei 4,27 dichiarati nell’obiettivo iniziale. A novembre, l’ultimo report dell’organizzazione, parlava di 377 mila morti, il 60 per cento causati dalle conseguenze indirette del conflitto, scarsità di acqua e cibo in testa. In 150 mila invece sarebbero deceduti nei combattimenti. «nel 2021 ogni 9 minuti è morto un bambino di meno di 5 anni», si legge nel dossier. Ed è l’aspetto forse più agghiacciante dell’intera vicenda. Martin Griffiths, capo dei soccorsi delle Nazioni unite, davanti al Consiglio di sicurezza appena il 15 marzo spiegava «Lo Yemen vive stato di emergenza cronico, segnato da fame, malattie e altre miserie che stanno aumentando più rapidamente di quanto le agenzie umanitarie possano tamponare». Ma intanto i mitra continuano a sparare.