Il prossimo settembre i russi voteranno per la Duma, il parlamento. I giochi sono già fatti, visto che quella russa non è proprio una democrazia. O, meglio, lo è nella forma, un po’ meno nei fatti. Il sistema, che non è comunque definibile una dittatura, è sbilanciato a favore del presidente, mentre i deputati hanno assunto negli anni un ruolo sempre più marginale.
L’opposizione sistemica rientra nella democratura russa
Il partito al potere, Russia Unita, che fa riferimento a Vladimir Putin ed è diretto dall’ex capo di Stato ed ex premier Dmitri Medvedev, in questa tornata elettorale non arriverà alla maggioranza assoluta. Va detto però che l’opposizione parlamentare, quella cosiddetta “sistemica”, fa comunque parte del grande gioco della “democratura” russa. In altre parole nazionalisti (Ldpr), socialdemocratici (Sr) e comunisti (Kprf) alla Duma serviranno come sempre a salvare le apparenze. Invece l’opposizione vera, antisistemica, non si vede in parlamento dal 2003, quando il partito liberale Yabloko si fermò al 4,30% non superando la soglia di sbarramento del 5%. Quest’anno le cose potrebbero cambiare, visto che i sondaggi, almeno quelli del Levada Center, danno il partito di Nikolai Rybakov e del leader storico Gregori Yavlinsky in grande spolvero, intorno all’8%. Il rientro alla Duma sarebbe un evento storico.

Il partito Yabloko (Mela) fu fondato nel 1993 da Yavlinsky, Boldyrev e Lukin
Yabloko è uno dei partiti più vecchi presenti in Russia, fondato nel 1993, due anni dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica e la nascita della Federazione russa. Di quel periodo sono rimasti solo i comunisti, ancora guidati da Gennady Zyuganov, e i nazionalpopulisti di Vladimir Zhirinovsky: entrambi sono ormai diventati una sorta di opposizione consenziente e funzionale al sistema. I liberali invece sono sempre stati esterni non essendo più riusciti a fare il loro ingresso in parlamento.
La loro storia è legata a quella di Gregori Yavlinsky, ex ministro ai tempi di Mikhail Gorbaciov e uno degli autori nel 1990 del “programma dei 500 giorni” che avrebbe dovuto salvare l’economia sovietica con il veloce passaggio dal comunismo all’economia di mercato. Boris Yeltsin lo nominò poi vice premier con il compito di rimettere in carreggiata l’economia della Federazione. Nel 1993 fondò Yabloko, la Mela, il simbolo del partito e anche acronimo dei tre fondatori, Yavlinsky, Yuri Boldyrev e Vladimir Lukin.
La fortuna della Mela fu molto limitata negli Anni 90 e ancora minore successivamente. I russi ai tempi di Yeltsin nutrivano poca fiducia nei liberali le cui teorie avevano contribuito a produrre un turbocapitalismo selvaggio. Anche dopo il default del 1998 l’appeal sull’elettorato fu esiguo, sino alla loro uscita di scena con le prime elezioni parlamentari nell’era di Putin. In seguito hanno cercato di coagulare l’opposizione liberale e antiputiniana, stringendo alleanze con altri movimenti extraparlamentari, come l’Unione delle forze di destra, senza però riuscire nell’obiettivo.

L’avventura di Navalny in Yabloko durò dal 2000 al 2007
A Yabloko si era aggregato anche all’inizio del 2000 anche Alexey Navalny, espulso però nel 2007 a causa delle sue posizioni giudicate da Yavlinsky estremiste e xenofobe. Il futuro avvocato anticorruzione cavalcava allora l’onda anti-immigrazione e aveva fondato un movimento alleandosi con formazioni nazionaliste e razziste. Durante le proteste nel 2012, con il passaggio di consegne al Cremlino tra Medvedev e Putin, Navaly e Yavlinsky si trovarono ancora dalla stessa parte della barricata, ma anche stavolta il variegato spettro dell’opposizione non riuscì a coalizzarsi seriamente. E questo è sempre stato un po’ il problema di Yabloko negli ultimi anni, quello di non trovare alleati stabili con cui unirsi per scavalcare i paletti posti dal sistema. Se però da un lato mancano i leader e quelli che ci sono – come Navalny – sono dietro le sbarre, dall’altro i liberali quest’anno sembrano aver dalla loro un elettorato che almeno a Mosca, San Pietroburgo e nei grandi centri, potrebbe abbandonare il voto per la stabilità a Russia Unita per dare fiducia ai candidati dell’opposizione antisistemica. Il partito di Medvedev è sempre il primo sul 30%, ma dovrà cedere qualcosa. Rybakov e Yavlinsky hanno insomma la possibilità di riportare la Mela alla Duma, avvelenando un po’ le acque tranquille in cui naviga Putin. Al momento il presidente non pare preoccuparsi troppo. I sondaggi degli ultimi tre mesi lo danno in costante crescita e ora è sicuro del 67% di consensi