«Nello Xinjiang le autorità cinesi hanno dato vita a un inferno distopico di dimensioni gigantesche». La denuncia arriva Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International che il 10 giugno ha pubblicato il rapporto di 160 pagine Cina: ‘Come nemici in guerra’. Internamento di massa, tortura e persecuzione contro i musulmani dello Xinjiang. Una raccolta di testimonianze inedite di ex detenuti nei campi di rieducazione realizzati dal governo di Pechino su torture e le persecuzioni subite, soprattutto uiguri e kazaki. Violenze e abusi che si configurano, scrive Amnesty, come crimini contro l’umanità, e che le autorità cinesi hanno adottato dal 2017 con l’obiettivo di sradicare le tradizioni culturali e linguistiche di alcuni gruppi etnici della regione – tra cui anche hui, kirghizi, uzbechi e tagichi – giustificandoli come lotta al terrorismo. «Gli uiguri, i kazachi e le altre minoranze musulmane subiscono crimini contro l’umanità e altre gravi violazioni dei diritti umani che minacciano di radere al suolo le loro identità culturali e religiose», ha detto senza mezzi termini Callamard.

La raccolta dei dati biometrici, gli interrogatori e le torture
Nella regione nel nord ovest della Cina dal 2017 in poi sono stati costruiti centinaia campi di internamento per, sostiene Pechino, la «trasformazione attraverso l’educazione». L’esistenza di centri in cui numeri enormi di persone – si parla di centinaia di migliaia, se non addirittura un milione – vengono «sottoposte al lavaggio del cervello, alla tortura e ad altri trattamenti degradanti», sottolinea la segretaria dell’associazione, «per non parlare degli altri milioni che vivono nella paura a causa del sistema di sorveglianza di massa, dovrebbe sconvolgere la coscienza dell’umanità». Gli ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno raccontato di essere stati arrestati per condotte del tutto legali, come il possesso di immagini religiose o il contatto con persone all’estero. Il tutto, come emerge dalla testimonianza di un funzionario di Stato cinese che ha preso parte agli arresti di massa, senza mandato di cattura e al di fuori di qualsiasi garanzia giudiziaria. Una volta arrestati e interrogati, ai detenuti venivano presi i dati biometrici e medici. Quindi erano assegnati ai campi. Gli interrogatori avvenivano frequentemente sulle cosiddette “sedie della tigre”, a cui i detenuti erano ammanettati in posizioni innaturali e dolorose.
Nei campi lavaggio del cervello per disprezzare l’Islam e rinnegare la propria cultura
Una volta nei campi, i detenuti dovevano sottostare a un rigido regolamento. Vietato parlare tra loro o rivolgersi alle guardie del campo nella propria lingua e non in mandarino. «Ogni giorno ci svegliavamo alle 5 del mattino e dovevamo rifare il letto in modo perfetto», raconta una ex detenuta finita nel campo per aver installato WhatsApp sullo smartphone. «Poi c’erano la cerimonia dell’alzabandiera e il giuramento. Poi la colazione. Poi tutti in casse. Poi il pranzo. Poi di nuovo tutti in classe. Poi la cena. Poi ancora una lezione. Poi a dormire. Ogni notte due di noi dovevano ‘essere in servizio’, cioè controllare gli altri, a turni di due ore. Non c’era un attimo libero. Eravamo esausti…». Dopo settimane costretti a restare seduti o inginocchiati e in silenzio per la maggior parte della giornata, cominciava per i detenuti il programma di rieducazione: un lavaggio del cervello per disprezzare l’Islam, rinnegare la propria cultura e lingua e studiare la propaganda del Pcc. Tutti i 50 ex detenuti sentiti da Amnesty raccontano di aver subito anche torture: pestaggi, scariche elettriche, privazione di cibo acqua e sonno erano all’ordine del giorno. Amnesty ha appreso anche di un detenuto morto per essere stato ammanettato per 72 ore di fila alla sedia della tigre davanti ai suoi compagni di cella.

Sorveglianza elettronica e fisica anche dopo il ritorno in libertà
I campi dello Xinjiang sono sotto rigida sorveglianza. E anche quando i detenuti ritrovano la libertà restano sotto vigilanza, elettronica e fisica. Naturalmente ogni espressione religiosa, pubblica o privata, non solo è vietata ma diventa automaticamente prova di estremismo tale da motivare l’arresto. Per essere internati basta possedere un Corano o scaricare software di messaggistica sullo smartphone. In tutta la regione sono sistematicamente demoliti luoghi sacri, cimiteri , moschee. In alternativa, viene cambiata la loro destinazione d’uso. Molti dei detenuti dei campi vengono “venduti” a blocchi alle grandi aziende manifatturiere che lavorano soprattutto il cotone. Materiale che poi viene acquistato da grandi multinazionali occidentali.