La visita in Uzbekistan per partecipare al vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco). Il G20 di Bali in Indonesia e il summit Apec in Thailandia. Il viaggio di Stato in Arabia Saudita, che ha compreso una pioggia di accordi stipulati con Riad e un incontro con i Paesi membri del Gulf Cooperation Council. E ancora: la mediazione nell’ultima fase dello storico accordo tra Teheran e Riad (i due Paesi non solo hanno ristabilito le relazioni diplomatiche ma hanno assicurato che non intendono arrivare a uno scontro diretto, una garanzia per le forniture di petrolio e le rotte commerciali del Golfo) e, infine, il faccia a faccia di Mosca con Vladimir Putin. Gli ultimi mesi di Xi Jinping sono stati a dir poco frenetici. Il presidente cinese ha infatti portato avanti un’intensa attività diplomatica, nel tentativo di collocare la Cina al centro del mondo, dopo anni di isolamento a causa dell’emergenza Covid. La ciliegina sulla torta è stato l’incontro andato in scena a Mosca, per la cronaca il 40esimo tra i due leader. Sul tavolo del Cremlino c’erano numerosi temi, in primis il consolidamento della partnership sino-russa, e quindi la crisi ucraina. Mosca, in posizione di sudditanza, ha sostanzialmente legittimato la proposta di Pechino per la risoluzione della guerra in Ucraina e assicurato che Cina e Russia rafforzeranno la cooperazione in molteplici ambiti, dall’intelligenza artificiale al commercio. Senza dimenticare l’Artico, dove la Via della Seta Polare potrebbe offrire l’ennesima ciambella di salvataggio economica alla Federazione Russa. Al netto dei risultati concreti ottenuti, il vero incasso di Xi è stato immateriale. Già, perché il presidentissimo cinese intende proporsi agli occhi del mondo come attore responsabile nonché unico garante della pace globale. E Putin non ha fatto altro che illuminare ulteriormente questa aura salvifica.

Xi, tra Tianxia e business
Xi Jinping ambisce a un ruolo a dir poco pretenzioso, ma che a ben vedere in linea con piano che ha riservato alla Cina. Da anni, e cioè da quando è salito al potere tra il 2012 e il 2013, l’intenzione di Xi è quella di creare, in primis, una comunità internazionale basata su rapporti paritari tra Stati (le famigerate “relazioni win-win”), con la Cina epicentro di quest’architettura diplomatica. Allo stesso tempo, il leader cinese ha l’obiettivo di modificare l’attuale ordine globale, partorito al termine della Seconda Guerra mondiale e considerato da Pechino a trazione occidentale, per renderlo più “paritario”. A prima vista, le intenzioni cinesi possono apparire bizzarre. In realtà, l’intera narrazione di Xi segue un preciso filo logico che affonda le radici nella millenaria filosofia cinese. La «comunità umana dal futuro condiviso» – perifrasi più volte ripetuta dalla leadership cinese per indicare una comunità nella quale tutti i membri cooperano per la risoluzione dei problemi globali – è funzionale al concetto di Tianxia, un termine che anticamente presupponeva l’inclusione di tutti i popoli in un’unica famiglia, nonché l’accettazione delle diversità del mondo, sottolineando l’armoniosa dipendenza reciproca da perseguire con l’esercizio della virtù come mezzo per una pace duratura. A quale prezzo, naturalmente, lo deciderà Pechino, come nel caso di Taiwan e Hong Kong. Sta di fatto che le parole chiave usate da Xi, e la necessità di conseguire una coesistenza pacifica, sembrano andare proprio in questa direzione. Certo, il motore di questo afflato è molto meno filosofico. Il Dragone infatti è ben consapevole che guerre e conflitti non facciano altro che danneggiare il business. E questa è una prospettiva impensabile per la seconda economia del mondo, che si prepara tra qualche anno, a superare quella statunitense. La “Xiplomacy”, come è stata ribattezzata, è dunque il perfetto trait d’union tra la tradizione cinese (Tianxia) e il nuovo corso varato da Deng Xiaoping, cioè quel «socialismo con caratteristiche cinesi» che utilizza il capitalismo come mezzo per sviluppare la nazione.

L’obiettivo è riscrivere l’ordine mondiale partendo dai Paesi in via di Sviluppo
Tornando all’incontro tra Putin e Xi, pochi si aspettano che la diplomazia del presidente cinese possa effettivamente mettere fine alla guerra in Ucraina. Washington, pur sperando nell’avvio di un negoziato, è preoccupata della possibilità, oggettivamente alta, che Pechino possa riscuotere successo proprio grazie al suo attivismo diplomatico, guadagnando credibilità sulla scena mondiale e stringendo nuove intese geopolitiche. Basta ripercorrere le ultime tappe di Xi Jinping: grazie al vertice della Sco la Cina ha gettato una seria ipoteca in Asia centrale; in Thailandia il Dragone ha mostrato il suo volto più gentile ai Paesi del Sudest asiatico; in Arabia Saudita, il leader cinese ha consolidato il legame con Mohammed Bin Salman, che a sua volta si è proposto come intermediario tra il presidente cinese e tutti i principali leader mediorientali; infine la trasferta in Russia, che è servita a Pechino per incamerare nuovi accordi e indossare gli abiti del pacificatore mondiale. Offrendo negoziati, proponendo investimenti e alternative al sistema occidentale, la Cina cerca di attirare i Paesi in via di sviluppo e, più in generale, il Sud del mondo (l’Africa è lì a dimostrarlo). Con l’obiettivo ultimo di trasformarsi nel perno decisivo di qualsiasi, nuovo, equilibrio globale.