La città di Xian, incastonata nella provincia cinese dello Shaanxi, è famosa per ospitare il celebre Esercito di terracotta, l’insieme di statue patrimonio Unesco e ottava meraviglia del mondo, e per avere una delle tradizioni culinarie più buone della Cina. È in uno scenario del genere che, il 18 e il 19 maggio, si svolge il primo China-Central Asia summit, un’occasione per consentire al leader cinese Xi Jinping di incontrare cinque leader dell’Asia centrale. Gli ospiti di Xi sono i presidenti di Kazakistan (Kassym-Jomart Tokayev, primo ad arrivare in Cina per il summit); Kirghizistan (Sadyr Zaparov); Tagikistan (Emomali Rahmon); Turkmenistan (Serdar Berdymukhamedov) e Uzbekistan (Shavkat Mirziyoyev).
Il rafforzamento della Cina nell’Asia centrale, tra riserve energetiche e Nuova via della Seta
Si tratta del primo summit non virtuale di questo genere in 31 anni, e cioè dall’istituzione delle relazioni diplomatiche formali tra la Cina e i Paesi invitati. Xian, poi, non è una città qualunque visto che era il punto di partenza dell’antica Via della Seta, il reticolato di circa 8 mila chilometri, tra vie terrestri, marittime e fluviale lungo le quali si snodavano i commerci tra l’impero cinese e quello romano. Non è poi un segreto che l’obiettivo dell’incontro coincida con il rafforzamento dei legami economici e diplomatici tra Pechino e i Paesi dell’Asia centrale. I dossier sul tavolo di Xi sono infatti due e tra loro intrecciati. Da un lato c’è la questione relativa allo sfruttamento delle risorse energetiche presenti nella regione centroasiatica, dove la Cina ha investito miliardi di dollari per attingere alle riserve di gas (e non solo), dall’altro c’è il tema della Belt and Road Initiative (BRI), ovvero la Nuova Via della Seta, che Xi potrebbe rilanciare una seconda volta puntando sull’Asia centrale, dopo aver annunciato il progetto iniziale nel 2013 presso l’Università Nazarbayev di Astana, in Kazakistan. Sullo sfondo lo scontro sino-russo, indiretto e a distanza, per determinare chi, tra Mosca e Pechino, riuscirà a far prevalere la propria d’influenza nella regione.

Pechino a caccia di risorse negli Stan preoccupati da Mosca
Gli occhi di Pechino sono puntati sulle risorse energetiche racchiuse nel sottosuolo dell’Asia centrale, una regione sempre più strategica che si estende dalla Cina fino al Mar Caspio e tradizionalmente considerata il cortile di casa della Russia. Qui si trovano ingenti riserve di petrolio, gas e carbone, in particolare in Kazakhstan, Uzbekistan e Turkmenistan, e, come ha sottolineato la Banca Mondiale, anche un enorme potenziale idroelettrico non sfruttato in Tagikistan e Kirghizistan. La cooperazione energetica cinese nell’area non è una novità, visto che è iniziata negli Anni 90, quando il Dragone spinse le sue imprese a investire all’estero. Nel 1997, il colosso statale China National Petroleum Corporation acquistò il 60 per cento di Aktobemunaigas, una compagnia energetica nella provincia nord-occidentale di Aktobe in Kazakhstan. Si trattò di una delle prime acquisizioni rilevanti di questo genere che aprì le porte alla costruzione di un oleodotto lungo 2.200 chilometri per rifornire di petrolio la provincia cinese occidentale dello Xinjiang. In tempi più recenti, nel 2009, sotto la presidenza di Hu Jintao il gigante asiatico lanciò il gasdotto Cina-Asia Centrale, un progetto transfrontaliero che, oltre alla Cina, coinvolge Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan. Lo scorso settembre, Pechino ha reso noto che erano iniziati i lavori per un ulteriore gasdotto, a lungo ritardato, noto come Linea D, tra lo Xinjiang e il Turkmenistan, attraverso il Kirghizistan e l’Uzbekistan. Considerando che la Russia importa risorse energetiche dall’Asia centrale, non senza disaccordo sui prezzi, che gli Stati Uniti attingono da Canada, Messico e Arabia Saudita, e che l’Europa è tagliata fuori dal grande gioco energetico della regione a causa, per il momento, della mancanza di adeguate infrastrutture, ecco che la Cina ha trovato di fronte a sé una prateria. Senza dimenticare che, in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, i governi centroasiatici hanno iniziato a nutrire una certa diffidenza nei confronti di Vladimir Putin. Potendo contare su un player affidabile e potente come quello cinese, tra i leader regionali sta prendendo piede l’idea di giocare di sponda con Pechino, onde evitare di essere schiacciati da Mosca. Dal canto suo, il governo cinese intende diversificare il proprio approvvigionamento blindando la sicurezza energetica del Paese.

Il rilancio della Belt and Road al decimo anno dal lancio
Nel tentativo di rafforzare la cooperazione energetica con gli attori dell’Asia centrale, la Cina proverà a fare leva sulla BRI, così da rianimare un’iniziativa finita in sordina dopo la pandemia di Covid e le tensioni geopolitiche internazionali. Del resto, i collegamenti ferroviari che collegano la Cina all’Europa, gli stessi che avrebbero dovuto essere la chiave del successo della Nuova Via della Seta di Xi, attraversano la regione centroasiatica. Dando un’occhiata ai dati nudi e crudi, emerge come il commercio di Pechino con i cinque stati dell’Asia centrale presenti al summit di Xian sia centuplicato dall’inizio delle relazioni diplomatiche avviate dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, mentre gli investimenti tra la Cina e le stesse nazioni, nel 2022, hanno raggiunto un livello record di oltre 70 miliardi di dollari, e nel primo trimestre del 2023 sono cresciuti del 22 per cento su base annua, mentre nello stesso periodo gli investimenti diretti cinesi in Asia centrale hanno superato i 15 miliardi di dollari. Quest’anno ricorre il decimo anniversario dell’annuncio della BRI, ed è lecito supporre che Pechino intenda dimostrare la forza del suo progetto, intensificando gli investimenti nel cortile di casa russo, un perfetto gateway per raggiungere l’Asia occidentale e l’Europa. Per la cronaca, i due principali progetti relativi BRI attualmente in discussione sono una ferrovia che dovrebbe collegare la Cina al Kirghizistan e all’Uzbekistan e un gasdotto per unire la Repubblica Popolare e il Turkmenistan. In generale, l’Asia centrale potrebbe diventare per Xi una valida alternativa di transito al corridoio russo, ormai inutilizzabile per raggiungere il ricco mercato dell’Unione europea.

Lo scontro con la Russia, grande assente al summit
Le mire della Cina sull’Asia Centrale si scontrano necessariamente con quelle della Russia. Nonostante la «partnership senza limiti» siglata con Pechino, Mosca teme le iniziative cinesi nel suo cortile di casa. Il ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, ha spiegato che la Cina aderisce a una politica di «buon vicinato e amicizia» nei confronti dei governi centroasiatici. Eppure, l’influenza della Russia in loco è sempre più in discussione, con Xi che corteggia in maniera insistente i tradizionali alleati di Putin, il grande assente al China-Central Asia summit. Il fatto che il presidente russo manchi dal palcoscenico dal quale il suo partner lancerà «un nuovo progetto per le relazioni tra la Cina e l’Asia centrale» non può che far discutere. Soltanto fino a pochi anni fa, un simile incontro avrebbe obbligatoriamente richiesto la presenza di Putin. Adesso la sensazione è che la Cina sia abbastanza sicura di sé da ignorare lo zar mentre ospita i leader dell’Asia centrale.