“Costruttore di sogni elettrici”, “professore pazzo”, “Elon Musk cinese”. Da quando Byd, l’azienda che ha fondato, è diventata un colosso globale nella vendita di veicoli elettrici, Wang Chuanfu ha iniziato a collezionare svariati soprannomi. Li accetta con orgoglio, e li affianca, divertito, ai numerosi aneddoti autobiografici riportati dai giornali sul suo conto. Si vocifera, per esempio, che un giorno abbia parcheggiato la sua nuovissima Mercedes Classe S davanti all’ingresso del centro di ricerca e sviluppo automobilistico di Byd, a Shanghai, chiamando a raccolta i più abili ed esperti ingegneri operanti nella struttura. Indicando l’auto, avrebbe ordinato ai dipendenti di smontarla. «Ma è nuova di zecca!», sarebbe stata la risposta ricevuta. Visto che nessuno aveva il coraggio di obbedire a quel folle ordine, il signor Wang tirò fuori le chiavi dalla tasca e incise un profondo graffio sulla vernice della Mercedes, dalla parte anteriore a quella posteriore del mezzo. «Adesso non c’è più motivo per non smontarla. Procedete», rispose agli increduli lavoratori, lasciando le chiavi sul cofano allontanandosi.
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Da ricercatore a imprenditore per mancanza di fondi governativi
Wang ha studiato chimica alla Central South University, ha conseguito un master nel 1990 presso il Beijing Non-Ferrous Research Institute per poi lavorare come professore assistente alla Beijing Technical University. Specializzato in accumulatori e batterie, voleva soltanto condurre la vita tranquilla di un ricercatore governativo, attratto dalla passione di realizzare batterie migliori per prodotti elettronici. «Il mio obiettivo era quello di diventare un ottimo ingegnere», ripeteva nei primi Anni 2000 in una Cina in continua ascesa economica. Ben presto, Wang Chuanfu sarebbe invece emerso come uno degli imprenditori cinesi di maggior successo. Tutta colpa, si dice, della mancanza di fondi per la ricerca nei centri gestiti dal governo. È così che, abbattuto e sconsolato, Wang lasciò il settore pubblico per mettersi in proprio. Era il 1995, e in quel periodo molti dipendenti del governo venivano contagiati dal virus dell’imprenditorialità.
Smontava pezzo per pezzo i cellulari e ne studiava i segreti
Wang creò da zero una società alla periferia di Shenzhen, la città chiave del boom economico cinese dove tutto sembrava possibile, al di là del confine con Hong Kong. Qui l’impresa Byd Co. iniziò a produrre batterie per telefoni cellulari e altri prodotti elettronici, mentre il fondatore studiava assiduamente i brevetti dei prodotti realizzati dalle altre società. Li smontava pezzo per pezzo. Osservava come erano assemblati per capire da dove derivasse il loro successo planetario, in attesa di proporre al mercato qualcosa di migliore. A quanto pare, Mr. Wang avrebbe continuato ad adottare lo stesso approccio qualche anno più tardi, quando, nel 2003, attraverso Byd decise di acquistare una minuscola casa automobilistica statale in fallimento. Si trattava di Qinchuan Automobile, un ramo commerciale secondario della China North Industry Corporation (Norinco), un maxi conglomerato industriale che aveva tentato di sviluppare un’attività secondaria nella produzione di missili. Oggi Norinco è un enorme complesso controllato dal governo cinese che conta dozzine di aziende attive nell’industria della meccanica, della chimica e della difesa, mentre il cuore di Qinchuan ha generato il miracolo di Byd Auto.

La mossa di Mr. Wang: assumere migranti a buon mercato
Facciamo un passo indietro. Wang, a soli 29 anni, ha fondato Byd assieme al cugino Lu Xiangyang. In un primo momento non aveva alcuna intenzione di produrre automobili, tanto che il gruppo era stato registrato come produttore di batterie ricaricabili. Il contesto ha contribuito notevolmente al successo della società. Nel 1979, infatti, Shenzhen era stata selezionata dal governo cinese come area di sviluppo speciale per sperimentare il capitalismo nella nazione. All’epoca, la città era invasa da un fiume umano di migranti cinesi in cerca di lavoro. La manodopera a basso costo era dunque abbondante e Byd ne ha approfittato. Anziché acquistare attrezzature costose per automatizzare la costruzione di batterie, Wang assunse migliaia di lavoratori e, allo stesso tempo, si impegnò per ottimizzare il processo di produzione. Insomma, l’approccio aziendale di Byd differiva da quelli di Sony e Sanyo, due importanti rivali dell’epoca. Al posto dell’automazione, l’ultima arrivata impiegava una delle maggiori risorse della Cina: il lavoro fisico dei migranti (a buon mercato).

Non solo copia-incolla: grossi investimenti su ricerca e sviluppo
Il gruppo realizzava batterie ricaricabili NiCd (nichel-cadmio), NiMH (nichel-metallo-idruro) e Li-ion (in particolare LFP, litio-ferro-fosfato). Le doti accademiche di Mr. Wang si stavano rivelando utilissime, combinate come erano con uno spiccato fiuto per gli affari e un efficace modus operandi gestionale. Inizialmente, proprio come tante altre aziende cinesi, Byd copiava i prodotti rivali; li smontava e analizzava il loro assemblaggio, per poi realizzare qualcosa di simile, con il logo Byd e un prezzo ridotto. Se si fosse fermata qui, sarebbe diventata una delle tante anonime società del boom cinese. A distinguerla dalle altre aziende, e dalla concorrenza, c’era un aspetto fondamentale: questo gruppo non intendeva produrre copie. Wang considerava importanti sia la ricerca sia lo sviluppo, e fin da subito aveva investito ingenti risorse in entrambi i settori. Dovessimo, quindi, elencare gli ingredienti alla base del successo della strategia industriale di Byd potremmo citarne tre: reverse engineer (in sintesi: l’analisi dei prodotti rivali), miglioramento continuo e costante, contare su se stessi.
La sigla? Build Your Dreams, o forse Bring Your Dollars…
Nel 2002, quando venne quotato alla Borsa di Hong Kong, il gruppo di Wang era già diventato il più grande produttore di batterie ricaricabili in Cina e il più grande produttore di batterie per telefoni cellulari al mondo. Shenzhen, l’attuale Silicon Valley cinese, aveva partorito l’ennesimo campione nazionale dopo Huawei, Tencent e Dji. Con il successo in aumento, molti iniziavano a chiedersi da dove derivasse il nome Byd. Ufficialmente, l’acronimo significa “Build Your Dreams“, “costruisci i tuoi sogni”, ma in un’intervista il fondatore spiegava che la combinazione delle lettere non aveva un significato specifico, salvo poi confessare che quella parolina incarnava la dicitura “Bring Your Dollars“, “porta i tuoi dollari”. E di soldi, BYD, ne ha portati tantissimi al suo fondatore, visto che nel 2021 il signor Wang si è classificato come il 22esimo uomo più ricco della Cina con una fortuna stimata di oltre 25 miliardi di dollari.
Il colpo di genio: vedere per primo un enorme mercato in crescita
In ogni caso, nei primi Anni 2000, l’ex accademico era alla ricerca di aree nelle quali espandere la sua attività, che nel frattempo stava andando a gonfie vele, con clienti del calibro di Motorola, Siemens e Nokia. È così che l’industria automobilistica è finita nel mirino del gruppo Byd. Wang ebbe un colpo di genio e la considerò come un enorme mercato in crescita, nonché possibile sbocco per le batterie della sua azienda. Gli azionisti non erano per niente d’accordo, ma la fumata bianca alla fine non trovò ostacoli. Nel gennaio del 2003 le azioni della società crollarono, ma questo non scoraggiò il visionario imprenditore. Che, oltre a mettere le mani su Qinchuan Automobile (ribattezzata Byd Automobile), acquistò una fabbrica a Pechino per produrre stampi e allestì un reparto di ricerca e sviluppo per automobili a Shanghai.

La prima ibrida plug-in al mondo marchiata Byd: l’F3dm
Il signor Wang iniziò quindi a prendere d’assalto il mercato automobilistico, allo stesso modo di quanto fatto per il mercato delle batterie. Il suo obiettivo era considerato folle in quel periodo: sostituire progressivamente i motori a combustione interna ad alto consumo di benzina con le batterie realizzate da Byd. Nel giro di qualche anno, l’azienda poteva già contare su un discreto numero di modelli disponibili in Cina, la maggior parte ancora con motori a benzina, via via rimpiazzati però da veicoli ibridi ed elettrici. Dato però che l’obiettivo era quello di creare auto elettrificate, ecco che nel 2008 prese forma la prima ibrida plug-in al mondo marchiata Byd, l’F3dm, più economica dell’allora Toyota Prius, leader delle vendite. Si delineava, in maniera evidente, la strategia dell’azienda: offrire vetture meno care dei modelli stranieri ma di qualità migliore rispetto ai concorrenti cinesi.

Warren Buffett acquistò il 10 per cento di Byd per 232 milioni di dollari
Wang, intanto, decise di fondare una seconda divisione automobilistica accanto a Byd Auto, chiamandola Byd Automotive Industry. L’azienda si avviò così a produrre veicoli di ogni tipo: automobili, ma anche taxi, bus navetta elettrici, autobus di trasporto pubblico, camion, furgoni e persino treni. Nel 2008 Warren Buffett, proprietario del fondo Usa Berkshire-Hathaway, fu attratto dalle idee di Mr. Wang e acquistò il 10 per cento di Byd per 232 milioni di dollari. Mai scelta fu più fortunata visto che, in 13 anni di investimenti nel gruppo cinese, l’imprenditore statunitense avrebbe incassato 33 volte tanto la somma messa sul tavolo.

In Cina perfino Tesla e Gruppo Volkswagen hanno alzato bandiera bianca
La crescita di Byd, intanto, è stata aiutata dalle politiche del governo a sostegno dello sviluppo di New Energy Vehicles, termine che Pechino utilizza per includere ibridi plug-in e auto elettriche a batteria. Il gruppo ha raccolto i sussidi disponibili per la produzione di queste auto a basse o zero emissioni e li ha fatti fruttare a dovere. Giusto per elencare qualche numero: nel 2022 l’azienda ha venduto 1,86 milioni di auto tra elettriche pure e ibride plug-in, suddivise in eguale numero, mentre in Cina è arrivata a controllare il 30 per cento del mercato dei veicoli a basso impatto ambientale, tanto che perfino Tesla (assediata anche su scala globale) e Gruppo Volkswagen hanno dovuto alzare bandiera bianca. A differenza delle rivali, Byd può contare su una solida integrazione verticale. Detto altrimenti, la creatura di Wang controlla l’intera catena di approvvigionamento del settore, dai minerali ai chip dei computer utilizzati nei veicoli. Al contrario, la concorrenza è più volte costretta a fare i conti con la presenza di fastidiosi colli di bottiglia logistici e con la carenza di componenti chiave. Byd, invece, ha prodotto i suoi chip per auto e ha venduto le sue batterie ai rivali, Tesla compresa.

E adesso? Occhi puntati sui ricchi mercati occidentali, Europa compresa
Nel 2023, dopo aver piantato solidissime radici in Cina ed essersi fatto apprezzare in Asia, il gruppo ha puntato sui ricchi mercati occidentali, Europa compresa. I suoi modelli di seconda generazione spiccano per forme distinte e accattivanti, frutto dell’esperienza appresa da anni di collaborazione con gli studi di design europei e dalla saggia scelta di aver assunto campioni assoluti, del calibro di Wolfgang Egger, già direttore del design in Alfa Romeo e Seat. Nel 2013, Byd ha lanciato sul mercato cinese la vettura Qin: da quel momento in poi, l’azienda ha chiamato tutti i suoi modelli con il nome delle dinastie imperiali del Dragone. Nel corso del 2023, in Europa sono attese Byd Han e Byd Tang. E pensare che, 20 anni fa, appesa al muro dell’ufficio di Wang spiccava una targhetta commemorativa. Era un premio che l’allora presidente di Motorola, Christopher B. Galvin, conferì a Byd etichettandola come «fornitore eccellente». Oggi Wang Chuanfu, il “professore pazzo”, intende diventare il numero uno delle automobili elettriche. Eccellendo anche in questo campo.