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La Vuelta buona

Dalla resistenza di Angelo Conterno, alle imprese più recenti di Fabio Aru, che si ritirerà al termine della corsa. Le storie dei sei italiani vittoriosi al giro di Spagna, al via sabato 14 agosto.

14 Agosto 2021 09:4015 Agosto 2021 11:06 Stefano Iannaccone
Oggi, 14 agosto 2021, al via la 76esima edizione della Vuelta Espana: ecco i nomi dei sei italiani che l'hanno vinta

Sulle strade di Spagna, dove i padroni di casa rendono dura la vita agli stranieri, gli italiani hanno saputo ritagliarsi il loro spazio. Non un’impresa semplice. I percorsi della Vuelta notoriamente sono costruiti su misura per gli scalatori iberici, che da parte loro rimangono ambasciatori di uno stile di corsa votato all’attacco. Scatti e contro scatti per far saltare i nervi agli avversari. Un copione noto, a cui gli azzurri hanno saputo rispondere, conquistando sei vittorie finali nelle 76 edizioni della gara a tappe spagnola, nel calendario del ciclismo l’ultimo grande giro dell’anno. Tra epiche resistenze, come quella di Angelo Conterno, e imprese magnifiche firmate da Fabio Aru e Vincenzo Nibali, i ciclisti italiani sono stati capaci di andare oltre le previsioni e ribaltare pronostici già scritti. Una dote che servirebbe anche adesso, visto che alla vigilia della partenza, fissata per il 14 agosto, gli azzurri non sono dati tra i protagonisti.

 

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Vuelta 2021, speranze italiane affidate a Ciccone

Qualche fiches si può puntare su Giulio Ciccone, che a 26 anni è chiamato a confermare i gradi di capitano in una competizione di tre settimane. Il percorso è adatto alle sue caratteristiche, il talento non gli manca, ma la Vuelta propone un parterre di primissimo piano, da Primoz Roglic a Egan Bernal, da Richard Carapaz a Hugh Carthy. Diverso il discorso per il migliore azzurro dell’ultimo Giro d’Italia, Damiano Caruso, che in Spagna sarà scudiero di Mikel Landa. Di fronte a simili campioni, ribaltare le gerarchie sarà complicato come scalare i Pirenei. E confidare nell’ultimo colpo d’ala del sardo Aru, che di ritorno dalla Spagna appenderà la bici al chiodo, resta poco più di una splendida suggestione.

 

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In passato, però, è stato diverso. Che il legame tra italiani e Vuelta fosse particolare, fu chiaro già nel 1956, quando Angelo Conterno, a 31 anni, indossò la maglia di leader della classifica generale dalla seconda tappa fino al traguardo finale, difendendo con i denti un vantaggio di appena 13 secondi. Fu una gara epica. Fino a quel momento, Conterno aveva dimostrato più confidenza con le classiche, ben piazzato a Liegi-Bastogne-Liegi e Milano-Sanremo. Nei Grand tour, invece, vantava solo un quinto posto al Giro d’Italia del 1953. Ma nella primavera del 1956 (all’epoca la gara si disputava tra aprile e maggio), la sua condizione era particolarmente buona e conquistò praticamente subito la maglia di leader. Sembrava una marcia trionfale, nonostante gli attacchi degli spagnoli. Fino all’ultima tappa, a cui Conterno si presentò con febbre alta e problemi ai polmoni. Gli avversari, in primis l’iberico Jesus Lorono, furono galvanizzati dalla notizia e tentarono in ogni modo di strappagli il primato. Di tutta risposta, con l’aiuto soprattutto del connazionale e amico, Giancarlo Astrua, il torinese riuscì a resistere, tra i fischi dei tifosi spagnoli, che pregustavano il sorpasso. Fu il primo successo italiano, bissato dodici anni dopo da Felice Gimondi. A 26 anni, il campione di Sedrina, Bergamo, aveva già in bacheca la tripla corona: il successo nelle tre corse a tappe più prestigiose. Alla sua prima e unica partecipazione alla Vuelta sbaragliò la concorrenza. Nella quattordicesima tappa, la Santander-Vitoria, staccò il principale rivale, allora leader della classifica generale, lo spagnolo José Pérez Francés, che chiuse al secondo posto con un distacco superiore a 2 minuti.

Il 1981, l’anno d’oro di Giovanni Battaglin 

Nel 1981 ci furono i due mesi d’oro di Giovanni Battaglin, che da metà aprile a inizio giugno, siglò la doppietta Vuelta-Giro. Sulle strade spagnole ipotecò il successo finale, aggiudicandosi la cronometro individuale Granada-Sierra Nevada. Al temine della frazione indossò il simbolo del primato, portato fino all’epilogo di Madrid. Nove anni più tardi un ciclista non molto noto, Marco Giovannetti, a 28 anni, centrò l’impresa della vita: sconfiggere l’idolo di casa, Pedro Delgado, favoritissimo della vigilia dopo aver vinto il Tour de France del 1988 e la Vuelta l’anno seguente. Nonostante avesse a disposizione la corazzata della Banesto, lo spagnolo non riuscì a scalfire la leadership di Giovannetti, abile a costruirsi un solido vantaggio nelle fasi centrali della corsa, difendendosi poi a cronometro e conservando un minuto e 26 secondi di margine su Perico. Grazie al successo Giovannetti divenne testimonial della Gatorade. Un picco mai più raggiunto e compensato parzialmente da piazzamenti nella top ten di Giro e Vuelta.

Ci sono voluti venti anni per rivedere un italiano salire sul gradino più alto del podio spagnolo. Ed è stato Vincenzo Nibali, 26enne, a interrompere il digiuno, piazzando il suo primo grande successo nelle corse a tappe. Un trampolino di lancio eccezionale per lo Squalo, che sconfisse la concorrenza dello spagnolo Ezequiel Mosquera, successivamente squalificato per doping. Nibali piazzò il mattoncino decisivo nella lunga crono (46 km) Peñafiel-Peñafiel, in cui sfilò la maglia rossa (che fece il suo esordio come simbolo della leadership) a Purito Rodriguez. Nelle tappe successive riuscì a gestire le sortite degli avversari, in primis Mosquera, conquistando la vittoria. Il bis gli è stato negato nel 2013, all’interno di un’edizione imprevedibile. A 42 anni, lo statunitense Chris Horner, fino ad allora niente più che un buon gregario, precedette lo Squalo di 37 secondi in classifica.

Fabio Aru, dal trionfo al ritiro in sei anni

Cinque anni dopo, l’amico ed ex compagno di squadra di Nibali, Fabio Aru, ha inserito il suo nome nell’albo d’oro della corsa spagnola. Il Cavaliere dei Quattro mori scrisse una pagina di bel ciclismo, quando insieme ai compagni dell’Astana, mandò fuori giri l’olandese Tom Dumoulin, che lo precedeva in classifica generale di appena 6 secondi. Nella penultima tappa Aru si lanciò in un’impresa con un attacco da lontano, orchestrato insieme a una squadra fortissima. L’allora 25enne promessa del ciclismo appariva proiettato verso una carriera di primissimo piano. Le cose, tuttavia, sarebbero andate diversamente e ora, in un cerchio che si chiude, Aru, prima di lasciare il ciclismo, ha ancora un un piccolo sogno nel cassetto: salutare tutti con un ultimo importante acuto.

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