Il 2022 di Volodymr Zelensky si è concluso con la trasferta negli Stati Uniti, prima visita al di fuori dell’Ucraina dall’inizio della guerra. Standing ovation al Congresso e colloqui riservati con Joe Biden, incassati altri miliardi di aiuti economici e armi, in realtà comunque già concordati. In sostanza niente di nuovo sul fronte dell’alleanza anti-russa che lega Kyiv e Washington e su come potrà svilupparsi il conflitto nei prossimi mesi o anni. Da ciò che è stato reso pubblico nell’incontro tra i due capi di Stato, che negli ultimi mesi sono stati segnati da qualche incomprensione, a partire dalla vicenda del missile ucraino finito in Polonia che Zelensky ha sostenuto essere russo persino dopo che Biden e la Nato avevano confermato che si trattava di un incidente targato Kyiv, non è trapelato nulla di concreto. Come è normale che sia.

Gli Usa non vogliono lo scontro diretto con la Russia
Come spesso accade, però, è sempre più importante ciò che non è stato detto, soprattutto per il futuro di una guerra di cui per ora non solo non si vedono né vinti né vincitori ma nemmeno la fine. Ma prima o poi tutte le guerre terminano, fra tregue, brevi e lunghi congelamenti, accordi temporanei e di pace duratura. La soluzione della crisi ucraina, vero e proprio duello tra Russia e Occidente che non per caso si combatte nell’ex repubblica sovietica che da oltre 15 anni è al centro dello scontro geopolitico, passa tra Washington e Mosca. E passa attraverso la costruzione di nuovi equilibri in Europa e in Ucraina. Significativo da questo punto di vista che Zelensky, sia con Biden alla Casa Bianca così come negli ultimi mesi da Kyiv, abbia abbandonato la questione dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Con l’invasione russa a febbraio il presidente aveva richiesto a gran voce l’entrata nell’Alleanza atlantica, ma oltre le classiche risposte anche da parte del segretario generale Jens Stoltenberg sulla politica delle porte aperte per tutti, ha trovato in realtà dei muri. Gli Usa, e la cosa è stata ribadita durante la visita di Zelensky a Washington, non vogliono il confronto diretto con la Russia, anche se da Mosca lo considerano di fatto già in corso. L’aver marginalizzato il tema, anche a livello mediatico, può essere però considerato un segnale che la Realpolitik avrà alla fine maggior spazio della retorica. Stesso dicasi per il destino della Crimea, che Zelensky continua a indicare come obiettivo da riconquistare per poi avviare eventuali trattative: gli Stati Uniti si sono dimostrati sempre cauti e lo stesso capo di Stato maggiore al Pentagono Mark Milley ha parlato chiaramente di basse probabilità che ciò possa accadere. E difatti anche questo punto specifico sta sparendo lentamente dall’agenda occidentale, mentre a Kyiv continua a essere un elemento centrale della comunicazione e della propaganda.

La politica ucraina è sempre stata eteroguidata
Se il presidente ucraino è diventato tra i toni trionfali della narrazione occidentale il difensore della democrazia, non solo ucraina, contro l’aggressione russa (non a caso è stato nominato persona dell’anno dal Time) non bisogna dimenticare che l’intera vicenda consta di più fasi di cui quella del conflitto, iniziato nel 2014 e allargatosi nel 2022, è solo quella centrale. Ci sono le varie tappe prima della guerra e ci saranno soprattutto quelle dopo il suo congelamento e la sua fine: Zelensky è il protagonista in Ucraina oggi, come prima lo sono stati i vari Victor Yushchenko, Victor Yanukovich e Petro Poroshenko, ognuno responsabile a suo modo di aver guidato il Paese lasciandosi imporre la linea nella politica estera dagli uni o dagli altri, cioè o dai russi o dagli americani. Nonostante l’immagine di salvatore della patria, che gli calza a pennello per doti naturali che per esempio Yanukovich non avrebbe mai potuto sfoggiare, e nella quale è oltretutto imprigionato, Volodymyr Zelensky dipende e dipenderà sempre per quelli che saranno gli sviluppi sul prosieguo della guerra e sul processo di pacificazione, dagli Stati Uniti che tengono il cordone degli aiuti finanziari e militari.

Il destino del Paese passa dalle mosse di Washington e Mosca
La fotografia dell’Ucraina a quasi 10 mesi dall’invasione vede sì il presidente come una sorta di superman nazionale, nel ruolo perfetto pur nella sua tragicità, ma anche un Paese sempre più devastato, con Kyiv che ha perso il controllo di ulteriori territori dopo quelli ceduti dal 2014, milioni di profughi interni e milioni di ucraini fuggiti all’estero, la popolazione in ginocchio in un inverno appena iniziato con la Russia intenzionata a proseguire nella sua tattica di demolire le infrastrutture energetiche per piegare gli ucraini e costringere la leadership al compromesso. Senza contare i problemi interni che affliggono cronicamente l’Ucraina, tra corruzione, oligarchi, debolezza dello stato di diritto in vari aspetti, di cui nessuno fa cenno perché è la guerra a tenere banco. Il destino dell’Ucraina non dipende in definitiva da quello che potrà fare Zelensky, ma da come e quando Washington e Mosca troveranno la via per ricomporre in qualche modo la scacchiera andata in pezzi.