Una storia a metà tra The Terminal e Ricomincio da capo quella di Vladimir Maraktaev, studente di 23 anni fuggito dalla Russia appena dopo l’annuncio della mobilitazione parziale da parte di Vladimir Putin, lo scorso settembre: prima la rocambolesca fuga del confine con la Mongolia, poi il volo verso le Filippine e l’atterraggio in Corea del Sud, dove a lungo non gli è stato consentito di lasciare l’aeroporto di Incheon, fino all’approdo negli Stati Uniti dopo un passaggio in Messico. Ecco la sua Odissea, raccontata da Meduza.

La vita che cambia il 24 febbraio 2022
Ulan-Udė è una città della Russia orientale, situata nella Siberia meridionale. Capitale della Repubblica di Buriazia, da tempo occupa gli ultimi posti in termini di qualità della vita tra le città russe con una popolazione di almeno 250 mila abitanti. È qui che è nato e cresciuto Vladimir. Nel 2017 si era iscritto al corso di Linguistica nella locale università, per poi abbandonare gli studi dopo la morte del padre, arruolandosi nell’esercito. Alla fine della leva, aveva ripreso l’università, guadagnandosi nel frattempo da vivere dando lezioni private di inglese. La sua vita, come quella di tantissimi suoi connazionali, è cambiata – ma non poteva immaginare quanto – il 24 febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina.
La fuga in auto verso la Mongolia
In possesso del passaporto, Vladimir ha iniziato a risparmiare denaro per poter lasciare il Paese se necessario. Ha capito che qualcosa non andava quando, a seguito della mobilitazione parziale annunciata da Putin il 21 settembre 2022, in Buriazia sono state recapitate convocazioni praticamente a tutti, compresi coloro che secondo la legge, dovevano essere esclusi. La sera del 23 settembre, trovata la lettera nella cassetta delle lettere, zaino in spalla è partito verso il confine con la Mongolia. Già in contatto con altri giovani buriati su Telegram, è arrivato al confine in auto con quattro sconosciuti. In prossimità della frontiera, un chilometro di coda: quando l’autista si è rifiutato di proseguire, Maraktaev e i suoi compagni di fuga sono scesi dalla macchina, nella speranza di trovare qualcun altro che acconsentisse a trasportarli attraverso la dogana, che non è possibile varcare a piedi. Un automobilista ha accettato, chiedendo 2 mila rubli (22 euro) a persona. Successivamente Vladimir e gli altri russi sono saliti su un’altra vettura, a bordo della quale hanno raggiunto la capitale mongola Ulan Bator: l’intero viaggio, durato 18 ore, è costato 10 mila rubli.
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Il periodo trascorso nelle Filippine
Secondo gli accordi tra Russia e Mongolia, i cittadini russi possono rimanere nel Paese per un mese, al termine del quale è possibile ottenere un visto valido per altri 30 giorni. Vladimir, che a Ulan Bator si è arrangiato con alcuni lavori part-time, a fine ottobre è salito su un volo per Manila, nelle Filippine, insieme a uno dei giovani con cui era arrivato in Mongolia, Nikolai. L’idea era di raggiungere l’arcipelago e da qui poi volare in Corea del Sud, dove avrebbe chiesto asilo politico.

L’arrivo in Corea e l’inizio di quattro mesi kafkiani
Per mascherare le sue vere intenzioni, Vladimir ha comunque prenotato un volo per il Vietnam con scalo a Incheon, Corea del Sud e partenza il 12 novembre. Una volta atterrato il primo volo, ha così perso volontariamente il secondo, dormendo in aeroporto. Il mattino seguente si è avvicinato a uno dei dipendenti dell’aeroporto, e ha chiesto dove poteva richiedere lo status di rifugiato. Scortato all’ufficio immigrazione e privato del passaporto, Maraktaev si è così sistemato in un’ala dell’aeroporto (al terzo piano del primo terminal) dove si trovano gli alloggi per i richiedenti asilo. Che, però, gli è stato negato il 19 novembre. Mandato via dall’area dove aveva dormito per una settimana, rientrato in possesso dei documenti Vladimir ha così trascorso diversi giorni nella zona di transito, fino a quando non gli è stato concesso di sistemarsi in una piccola stanza seminterrata dove già dormivano altre persone a cui era stato negato l’asilo politico.

A questo punto Vladimir ha contattato l’ufficio locale per i rifugiati delle Nazioni Unite, iniziando un lungo braccio di ferro con le autorità sudcoreane, aiutato dall’avvocato Lee Chong-chan. La prima udienza, a cui non ha assistito in quanto impossibilitato a lasciare il Terminal 1, si è svolta a fine gennaio 2023. La seconda udienza, prevista per il 14 febbraio, è stata rinviata di un mese. Nel frattempo, due “residenti” del seminterrato hanno tentato il suicidio, come raccontato a Meduza da Maraktaev: un marocchino e un russo della Jacuzia. Come ha ricordato il protagonista di questa vicenda, ogni giorno riceveva praticamente gli stessi pasti preconfezionati e per molti mesi non ha potuto usare la lavatrice, mentre spesso ha dovuto fare a meno dell’acqua calda per problemi alla caldaia. Gli spazi erano strettissimi. E l’ambiente molto rumoroso, visto l’enorme numero di persone in transito.
Via da Incheon: il Messico e gli Stati Uniti
Alla fine, Vladimir non ha ottenuto asilo politico in Corea del Sud. Ma non è stato costretto a tornare in Russia: un gruppo di attivisti per i diritti umani ha infatti acquistato per lui biglietti da Incheon a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e da lì al Messico. Partito il 17 marzo, Maraktaev non puntava però a rimanere a Città del Messico (dove è stato un mese), ma a entrare negli Stati Uniti, cosa che è stata possibile il primo maggio, quando ha attraversato il confine a Tijuana. Dopo alcuni giorni tra San Diego e San Francisco, è poi arrivato a New York. In autunno, un tribunale degli Stati Uniti dovrebbe esaminare la sua domanda di asilo politico. Fino ad allora, Vladimir non ha il diritto di lavorare negli Usa e può contare solo su fondi e donazioni private: alla sua vicenda si è interessato in particolare un ingegnere della Silicon Valley, che di ritorno dal Vietnam lo ha conosciuto durante un breve scalo a Incheon. Nei piani di Vladimir, gli Stati Uniti dovrebbero essere solo una tappa, prima del ritorno nella sua Buriazia: «Spero di avere questa opportunità. Ma ora è difficile prevedere il futuro della Russia nel suo insieme e per la mia piccola patria».