Fuori, la guerra e il caos internazionale. Dentro, una società ovattata. A più di 10 mesi dall’invasione dell’Ucraina, è impressionante il contrasto tra ciò che sta succedendo all’esterno della Russia e la relativa inerzia con cui procedono le cose dentro il Paese. Nonostante i fallimenti militari sul campo, e le sanzioni dell’Occidente, la maggior parte dei russi è andata avanti, o almeno ci ha provato, con la propria vita come se nulla stesse accadendo, mentre la classe politica ha cercato di non pensare a cosa potrebbe riservare il futuro, riponendo invece piena fiducia in Vladimir Putin, ancora una volta. Il problema è che il 2023 potrebbe rivelarsi un anno complicato: quello della resa dei conti.
Restare in sella fino al 2036 o nominare un successore?
Come ricordato dal Moscow Times, ci sono questioni interne che possono influenzare lo sviluppo del Paese per i decenni a venire. Innanzitutto lo zar dovrà decidere se candidarsi per la rielezione nel 2024. Del resto la Costituzione della Russia è stata modificata ad personam nel 2020, proprio per consentirgli di rimanere presidente fino al 2036. In alternativa potrebbe nominare un successore, anche dovrebbe farlo entro fine anno, se vuole lasciare abbastanza tempo per organizzare una efficace campagna elettorale. Per ora nessuno conosce i suoi piani. La sua intenzione era sicuramente quella di mantenere il potere a tempo indeterminato, ma oggi la domanda chiave è come i suoi calcoli sono stati modificati dalla guerra e, in particolare, dal fatto che non sia andata secondo i piani dei russi.

La decisione sull’eventuale addio sarà presa solo all’ultimo
Qualcuno pensa che il conflitto abbia rafforzato la determinazione di Putin a rimanere al potere oltre il 2024. Considerando il suo disprezzo per i “disertori politici”, è improbabile che diventi uno di loro. Altri però ritengono che non solo lo zar sia disposto a rinunciare al potere, ma lo consideri proprio una parte della soluzione alla guerra in Ucraina. Anche se sembra un desiderio effimero, una parte dell’élite politica spera che un tale reset sia sufficiente a porre fine alla recente serie di battute d’arresto della Russia e a far voltare pagina al Paese. Tuttavia, Putin ama prendere decisioni all’ultimo minuto, spesso sfidando le aspettative degli analisti.
Escalation della guerra o trattative: la classe politica è divisa
Una seconda questione legata alla crescente spaccatura tra i membri della classe dirigenziale russa che sono favorevoli a un’escalation della guerra e chi invece sta provando a mettere in guardia Putin dal farlo. Una divisione che è emersa dopo il ritiro delle truppe dalla regione di Kharkiv, con conseguente rinuncia alla città chiave di Kherson, ed è stata alimentata dall’attacco degli ucraini al ponte della Crimea, dai referendum indetti sull’annessione delle parti occupate dell’Ucraina e da tutta la successiva ambiguità delle autorità russe su quali fossero da considerare i confini ufficiali.

I falchi vogliono rinnovare radicalmente tutto il sistema
I pragmatici, che sono soprattutto tecnocrati e funzionari di medio rango dell’esercito e dei servizi di sicurezza, sono convinti che la guerra debba essere sospesa e ripensata, e che il Paese dovrebbe optare per una politica più realistica, in linea con le sue capacità limitate. I falchi invece chiedono alla Russia non solo di scatenare tutta la sua potenza di fuoco contro l’Ucraina, ma anche di ristrutturare radicalmente il proprio sistema politico ed economico: l’obiettivo sarebbe quello di soppiantare l’attuale governo, considerato in stallo, restando però sempre fedeli a Putin. Quale tra le due fazioni prevarrà nel 2023 dipende anche dalle evoluzione degli eventi sul campo di battaglia: peggio andrà per le truppe di Mosca, più l’ala pragmatica alzerà la voce, provando a far passare il messaggio che la vittoria è impossibile.

Tutto ciò lascia la Russia paralizzata tra scenari di follia militare e ipotesi di possibile de-escalation, con Putin messo di fronte a una scelta: raddoppiare gli sforzi per sconfiggere Kyiv o rassegnarsi e tornare al tavolo dei negoziati, con l’Occidente se non addirittura con la stessa Ucraina.
Rimpasto: rischiano Shoigu, Gerasimov e Sobyanin
Il terzo tema caldo riguarda un sempre più probabile rimpasto di governo. L’inclinazione di Putin a invitare i tecnocrati nell’esecutivo potrebbe crescere ulteriormente, con l’inserimento di figure di spicco nel gabinetto e nelle strutture di potere ormai invecchiate ed esauste dopo mesi di guerra e fallimenti militari. I nomi più a rischio? Il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, che sono stati accusati di corruzione all’interno delle forze armate; mentre il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev pare abbia perso la bussola, e il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin sia troppo apolitico; infine la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina è sospettata di opporsi segretamente alla guerra e potrebbe finire sulla graticola.

Il conservatorismo dello zar rappresenta un freno
Le figure di spicco del governo sono tutte insoddisfatte l’una dell’altra: un’antipatia reciproca e un clima di tensione che danno a Putin lo spunto per rimescolare le carte. Tuttavia, il suo conservatorismo e la sua paura quando si tratta di licenziare subalterni potrebbero portarlo a cercare una sorta di compromesso tra stabilità e richieste di rinnovamento. Anche questa possibile girandola di poltrone sarà profondamente influenzata dagli eventi sul campo di battaglia. Se, come previsto da Kiev, la Russia tenterà un’offensiva su larga scala a febbraio o marzo, probabilmente incontrerà una significativa resistenza ucraina. In caso contrario, Mosca continuerà lentamente a strangolare l’Ucraina con attacchi mirati alle sue infrastrutture, a cui Kyiv risponderà con controffensive sul suolo russo.
La repressione del dissenso è destinata a crescere
Così la vita politica russa rimarrà schiacciata nella morsa dell’atmosfera cupa e opprimente della guerra, lasciando la classe politica ancora più spaventata del futuro. La repressione del dissenso crescerà senza dubbio, con purghe e pene detentive ancora più lunghe per chiunque si opponga a Putin. Ecco perché nel 2023 la già storica guerra della Russia con l’Ucraina presenterà il conto, cambiando il Paese dello zar dall’interno e mettendo a dura prova la capacità dei suoi leader di tenere tutto sotto controllo e pianificare le decisioni per il futuro.