Così Vladimir Putin, Xi Jinping e Donald Trump sfidano la democrazia
Hanno sfidato apertamente la democrazia, sostenendo la superiorità dei regimi autoritari. Imponendosi come uomini forti ed eliminando dove possibile i limiti al mandato presidenziale. Cosa accomuna Vladimir Putin, Xi Jinping e Donald Trump.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin ha ultimato la trasformazione della democratura russa in regime. Ma non è l’unico leader ad avere adottato misure per mantenersi saldo al potere. Anche Xi Jinping, uno dei suoi pochi alleati rimasti, ha messo mano alla Costituzione cinese per garantirsi un posto (quasi) a vita. Una missione che, per evidenti ostacoli istituzionali, ha invece fallito Donald Trump. L’ex presidente americano, nonostante la sua costante costruzione della realtà, gli sforzi per screditare la vittoria di Joe Biden e l’aver legittimato suprematisti, estremisti e razzisti e infiammato i propri sostenitori non impendendo l’assalto a Capitol Hill, ha trovato davanti a sé il muro delle istituzioni e delle leggi Usa che per quanto arrugginite hanno retto. Vero è che ha diviso, e continua a dividere, l’America. Un’eredità che il Paese probabilmente si porterà dietro ancora a lungo al di là di una sua ricandidatura alla Casa Bianca.
Gli Usa, l’eredità di Trump e la passione di The Donald per Putin
E fa pensare anche l’ammirazione di Trump per Putin. Il 23 febbraio scorso, poche ore prima che la Russia invadesse l’Ucraina, l’ex presidente Usa aveva definito il suo omologo un «genio». In un’intervista al The Clay Travis and Buck Sexton Show, il tycoon aveva detto di ammirare l’atteggiamento da “duro” del presidente russo. «Putin dichiara indipendente una grossa porzione dell’Ucraina. È meraviglioso. È furbo. Questo è genio», aveva commentato The Donald vantandosi di conoscerlo bene. «Andavo molto d’accordo con lui. Lui ha molto fascino e orgoglio. Ama il suo Paese». Ma riconoscendo che «con l’Amministrazione Trump non avrebbe mai fatto quello che sta facendo ora. Mai!». Dopo qualche settimana Trump ha però dovuto aggiustare i toni. «Se pensate che Putin si fermerà, andrà sempre peggio. Non lo accetterà e non abbiamo nessuno che gli parli. Avevate qualcuno che poteva parlare con lui ed ero io», ha detto il 13 marzo in un comizio a Florence, nella Carolina del Sud, criticando la gestione di Joe Biden del conflitto.

Così i leader russo e cinese hanno tolto limiti al loro potere
Se Trump non è stato riconfermato alla Casa Bianca, a Putin e a Xi, per ora, è andata meglio. Il presidente russo nel 2020 ha eliminato di fatto i limiti al suo mandato: potrà ricandidarsi nuovamente alla presidenza nel 2024. Se eletto, e non è detto, potrebbe restare al Cremlino fino al 2036. Due anni prima, nel 2018, il gioco era riuscito a Xi Jinping che aveva abolito il paletto dei due mandati presidenziali e potenzialmente potrebbe restare al potere a vita. Una risoluzione passata con due voti contrari, tre astenuti e 2958 favorevoli. Nel 2023 è quasi scontato che venga rieletto presidente anche se il Partito comunista cinese non è in realtà il moloch che appare, essendo attraversato da carsiche lotte interne. A questo si aggiungano il rallentamento economico, il fallimento della strategia Zero Covid e le ripercussioni dell’invasione russa che potrebbero se non fermarlo, indebolirlo. Così come l’alleanza con Putin. Anche ieri al Consiglio di Sicurezza dell’Onu la Cina è stata l’unica a votare con la Russia la risoluzione elaborata da Mosca sulla situazione umanitaria in Ucraina che però non faceva alcun riferimento all’invasione e per questo bocciata.

Xi Jinping ha riscritto gli ultimi 100 anni di storia cinese
Va però dato atto a Xi di essere riuscito a riscrivere in un colpo solo decenni di storia cinese. Deng Xiaoping nel 1982 aveva posto il limite di due mandati presidenziali per evitare l’emergere di un altro Mao Zedong, capo supremo di un regime accentratore fondato sul culto della personalità che aveva isolato il Dragone. Xi ha riavvolto il nastro. A novembre 2021, durante il sesto plenum del del XIX Comitato centrale del Partito comunista è stata approvata la “risoluzione sulla storia” che ha riscritto i principali fatti degli ultimi 100 anni e ha fissato la sua stella nella narrazione di Pechino elevandone lo status a quello dei timonieri della Repubblica Popolare Deng Xiaoping con la sua «teoria» ma soprattutto Mao e il suo «pensiero». Il tutto relegando le figure di Jiang Zemin e Hu Jintao sullo sfondo. Il presidente cinese ha stabilito così i confini dell’ortodossia ideologica del Paese, e con essi ciò che rappresenta una eresia.
Putin e il sogno di una Nuova Russia
Anche Putin con il mito della Nuova Russia ha cercato di imporsi come novello zar. Ma la guerra in Ucraina, nonostante la propaganda e il bavaglio imposto ai media, rischia di essere il suo requiem. Probabilmente ha sopravvalutato le sue forze e al contempo sottovalutato sia la resistenza ucraina sia la reazione, pressoché compatta, della comunità internazionale. A partire dalle sanzioni che stanno affossando un’economia già di per sé non brillante. Settimana dopo settimana, la sua ‘operazione militare speciale’ assomiglia sempre più a un lento suicidio. Anche in caso di vittoria, diplomaticamente è spacciato. Probabilmente sarà indagato per crimini di guerra. E anche se riuscirà nell’intento di ‘denazificare’ l’Ucraina, il Paese sarà difficile da controllare e governare.

L’alleanza con Mosca indebolisce Pechino
Se la Russia di Putin sembra aggrappata al XX secolo, la Cina è proiettata verso il futuro, soprattutto economico. E alla sfida con gli Usa. Ma i pericoli di un’autocrazia si potrebbero fare sentire presto. La strategia anti-Covid, senza dimenticare l’avere impedito una indagine terza e indipendente a Wuhan, l’alleanza (non si sa bene quanto forte) con Mosca – «L’amicizia senza limiti e senza aree di cooperazione proibite», come sottolinearono i due capi di Stato in occasione dell’incontro del 4 febbraio scorso per l’apertura delle Olimpiadi invernali di Pechino – possono rendere la leadership di Xi più debole. La Cina è un grande importatore di petrolio, mais e grano dalla Russia e dall’Ucraina, e sicuramente l’invasione di Mosca è un ostacolo alla prosperità del Dragone. Non solo. Ha messo a dura prova le relazioni tra Pechino e l’Unione europea, il primo partner commerciale della Cina. Anche ammesso che Xi voglia in qualche modo tenere testa e sfidare l’Occidente, in cuor suo è consapevole che non è un lusso che può permettersi.