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Sgarbi alla Cultura è un D’Annunzio in formato discount

Che Sgarbi, nuovo sottosegretario alla Cultura, sia un D’Annunzio formato discount è chiaro ormai da una quarantina d’anni. Il ministero di Gennaro Sangiuliano è un po’ la sua Fiume, cittadella irredenta da quando venne defenestrato da Urbani. Quanto durerà l’impresa questa volta?

2 Novembre 2022 17:38 Lia Celi
Sgarbi alla Cultura è un D'Annunzio in formato discount

Poeta al comando, il romanzo storico che Alessandro Barbero dedicò all’epopea tragica e grottesca di Gabriele d’Annunzio a Fiume, uscì nel 2003. Come mai io, ammiratrice e follower di Barbero, l’ho scoperto e letto solo 19 anni dopo, e proprio nei giorni in cui il governo Meloni sceglie i sottosegretari? Deepak Chopra non avrebbe dubbi: attraverso questa apparente coincidenza, l’universo voleva darmi una chiave di lettura degli avvenimenti. Di uno in particolare: la designazione di Vittorio Sgarbi come sottosegretario alla Cultura.

Sgarbi alla Cultura è un D'Annunzio in formato discount
Vittorio Sgarbi con Giorgia Meloni (da Fb).

Guerra? Sì, ma solo sui media con spargimento di polemiche e querele

Che Sgarbi sia il d’Annunzio del discount – e per quanto mi riguarda non è una deminutio, apprezzo sia l’Imaginifico che il discount, per diversi motivi – è vero da tempo. Sono ormai 40 anni che l’intellettuale ferrarese vive all’insegna dell’habere non haberi (possiedo ma non mi faccio possedere), ardisco non ordisco e me ne frego, vanta le sue prodezze sessuali, vive fra opere d’arte di varie provenienze, alcune discusse, semina figli qua e là, disprezza le donne rispettabili e rispetta quelle disprezzate, gioca a campana su tutta la mappa dei partiti politici, alcuni dei quali fondati da lui stesso. In quanto critico d’arte, non ha l’unico punto debole di d’Annunzio, e cioè quello di essere un artista, categoria che agli occhi degli italiani non ha alcuna credibilità e può incantare i giovani e le donne, ma è più o meno apertamente detestata dai maschi adulti e anziani, cioè quelli che hanno il potere. Quanto alla guerra, a Sgarbi piace solo quella che si fa sui media con spargimento di polemiche e querele, ma in questo genere di conflitti mostra ardore e sprezzo sia del pericolo che del ridicolo. Una poltrona nel sottogoverno di destra era il minimo che spettava all’uomo che ha tuonato contro il green pass (anche se ha fatto la quarta dose di vaccino perché «sono un uomo coraggioso e sfido il pericolo») e ha promosso a Ferrara il progetto di una mostra su Italo Balbo, feroce squadrista e mandante dell’omicidio di don Minzoni. Anzi, sorprende che la poltrona di ministro della Cultura l’abbiano data a Gennaro Sangiuliano e non direttamente a lui, che dovrà accontentarsi di un posto sul divanetto dei sottosegretari accanto a Lucia Borgonzoni, quella che non ha mai tempo di leggere, e a Gianmarco Mazzi, manager dello spettacolo e direttore di ben sei festival di Sanremo.

Sgarbi alla Cultura è un D'Annunzio in formato discount
Vittorio Sgarbi (da Fb).

Ferrara, una Fiume occupata per anni da Franceschini

Ma torniamo a Poeta al comando e alla sua versione in sedicesimo, Critico d’arte al sottocomando. Sì, perché il ministero della Cultura è un po’ la Fiume di Sgarbi, occupata da anni dal suo eterno avversario e concittadino, Dario Franceschini. È la cittadella irredenta che lui sente sua di diritto, fin da quell’amara estate di 20 anni fa quando, sottosegretario alla Cultura in un altro governo di centrodestra, il Berlusconi II, venne defenestrato dall’allora ministro Giuliano Urbani per aver «assunto posizioni in linea di netto contrasto con le decisioni collegiali del governo… contrasto divenuto insanabile a causa delle posizioni che successivamente e ripetutamente il Sottosegretario ha assunto», come si legge nel decreto del Presidente della Repubblica con cui gli venivano revocate le deleghe. Terreno della contesa, la possibilità di vendere i monumenti ai privati, che vedeva Urbani pro e Sgarbi fieramente contro, appoggiato dall’opposizione di centrosinistra. Le reazioni furono vivaci, tanto che in occasione di una manifestazione al Vittoriale (ma guarda un po’) vide la luce addirittura un comitato “Sgarbi ministro per i Beni culturali”, coordinato da Maurizio Caprara, fra i membri gli artisti Cucchi e Cascella, oltre al vecchio sodale Alain Elkann, Gelasio Gaetani Lovatelli d’Aragona e Noemi Marone Cinzano. «Quel posto è mio, sono tutti supplenti miei», aveva ribadito il critico nel 2019, quando alla Cultura era tornato Franceschini con il governo Conte 2. Supplenti che, come gli italiani di Fiume 100 anni prima, sognavano il riscatto per mano di Sgarbi. Il quale però, a differenza del poeta monocolo nel 1919, non è Comandante né Reggente supremo, ma in quanto sottosegretario dovrebbe conformarsi alla linea del suo superiore, cioè di quel peperino di Genny Sangiuliano, alfiere della conservazione (e non solo dei beni culturali), rispetto al quale Giuliano Urbani è un pacioccone.

Il neo ministro alla Cultura Sangiuliano ha inviato una lettera al direttore degli Uffizi sulla chiusura del museo per Ognissanti.
Gennaro Sangiuliano (Getty Images).

L’altolà di Sangiuliano alla rivoluzione del critico d’arte

Ma Sgarbi non sembra intenzionato a conformarsi più che nel 2002: i primi punti della sua futura Carta culturale del Carnaro sono musei gratis e aperti h24 e Morgan dei Bluvertigo a capo di un erigendo dipartimento della Musica. C’è abbastanza puzza di rivoluzione per far scattare l’altolà di Genny: «Conosco Sgarbi e lo stimo», ha detto a Porta a porta, «ma per le nomine ci sono norme che stabiliscono prerequisiti stabiliti dalla legge, titoli che vengono richiesti, ecc». Fra i titoli e i requisiti evidentemente rientra quello di non leggere un libro da tre anni: è una skill, a suo modo, ed è comunque tra i meriti che hanno fruttato a Lucia Borgonzoni il suo terzo strapuntino alla Cultura consecutivo (se non aveva tempo di leggere quando faceva l’avvocato, difficile che l’abbia trovato da quando è al ministero).

Sgarbi alla Cultura è un D'Annunzio in formato discount
Sgarbi sulla copertina dell’Espresso del 1 febbraio 1993 (Getty Images).

Quanto durerà il remake di Fiume in formato Lidl?

Gabriele d’Annunzio fu scacciato da Fiume, assegnata alla Jugoslavia col trattato di Rapallo, dalle cannonate del generale Caviglia, dopo tre mesi di immaginazione al potere, tra scatti di futurismo e raptus di bolscevismo. Quanto durerà il suo remake in formato Lidl in via del Collegio Romano? Il trailer è promettente, anche se in tutta questa storia mancano drammaticamente i legionari giovani e baldi: da tutta la vicenda più che da Ronchi spira un’aria da rinco. Nel caso che la nuova avventura finisca prematuramente, abbiamo in mente una grandiosa e commovente scena finale: dopo l’ultimo, insanabile litigio con Sangiuliano, Sgarbi se ne esce a testa alta dal ministero. E un’affranta Lucia Borgonzoni, dopo averlo salutato con gli occhi lucidi, si decide finalmente a leggere un libro.

Sgarbi alla Cultura è un D'Annunzio in formato discount
Vittorio Sgarbi (da Fb).

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