Xi Jinping è stato ricevuto da Mohammed bin Salman al palazzo Al-Yamamah in un tripudio di bandiere cinesi e saudite, mentre i membri della Guardia reale, a cavallo, scortavano la sua auto. Non poteva iniziare nel modo migliore la visita del presidente cinese in Arabia Saudita, accolto con un calore e uno sfarzo tali da contrastare il basso profilo riservato, lo scorso ottobre, a Joe Biden. Innanzitutto, Pechino e Riad hanno ridefinito le loro relazioni firmando un accordo di partenariato strategico globale che, tra le altre cose, include il coordinamento tra il piano saudita di riforme Vision 2030 e il progetto infrastrutturale cinese Belt and Road Initiative. Le società dei due Paesi hanno inoltre firmato 34 accordi di investimento che coprono diversi settori, tra i quali i settori dell’energia verde, della tecnologia dell’informazione, dei servizi cloud, dei trasporti, della logistica, delle industrie mediche, dell’edilizia abitativa e delle costruzioni.

Pechino cerca di scalzare gli Usa dalla regione
Questo il quadro generale, la punta dell’iceberg. Dietro le quinte c’è infatti la volontà cinese di espandere la propria presenza nel mondo arabo, in particolare nell’area del Golfo, da decenni terreno di influenza degli Stati Uniti. E non è un caso che il Dragone e l’intera regione stiano approfondendo le loro relazioni economiche in un momento in cui i legami tra Washington e l’Arabia Saudita si sono sgretolati a causa della decisione dell’OPEC di tagliare l’offerta di greggio di 2 milioni di barili al giorno. In un articolo pubblicato dal quotidiano saudita Al Riyadh, Xi Jinping ha sottolineato che la sua visita nel regno «inaugurerà una nuova era nelle relazioni tra la Cina e il mondo arabo, con gli Stati arabi del Golfo e con l’Arabia Saudita». «Il mondo arabo è un protagonista del mondo in via di sviluppo e una forza chiave per sostenere l’equità e la giustizia internazionali», ha dichiarato Xi, aggiungendo che «il popolo arabo apprezza l’indipendenza, si oppone alle interferenze esterne, si oppone alla politica di potere e alla prepotenza, e cercare di fare progressi». Come se non bastasse, poco dopo l’arrivo del presidentissimo cinese, nella capitale saudita sono giunti anche i leader arabi invitati da bin Salman per partecipare al vertice sino-arabo. Il presidente egiziano Abdel Fattah Sisi è stato tra i primi a raggiungere Riad, assieme al presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) e al collega sudanese Abdel Fattah Burhan. Presenti anche il premier iracheno Muhammad Sudani, il libanese Najib Miqati, il presidente tunisino Kais Saied e il premier del Marocco Aziz Akhannouch. Archiviato il summit con il principe saudita e con i rappresentanti del mondo arabo, Xi ha preso parte ad un terzo summit, quello con i leader dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, l’alleanza filo-saudita di cui fanno parte Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait e Oman.

Riad e Washington, un «matrimonio musulmano» e non cattolico
La strategia dell’Arabia Saudita, come ha evidenziato Foreign Policy, era stata ampiamente anticipata da un’intervista rilasciata nel 2004 dall’allora ministro degli Esteri saudita, Saud al Faisal, al Washington Post. Al Faisal spiegava che la relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita non avrebbe dovuto essere considerata alla stregua di un «matrimonio cattolico», dove era consentita una sola moglie, ma di un «matrimonio musulmano», con almeno quattro spose. «L’Arabia Saudita non chiedeva il divorzio dagli Stati Uniti. Cercava solo il matrimonio con altri Paesi», scrisse all’epoca il WP. Tutto questo sembrerebbe essersi realizzato con la visita di Xi a Riad. Certo, Pechino non può sostituire Washington nella questione che conta di più per i sauditi e cioè la loro sicurezza in una regione difficile, ma, all’interno della cosiddetta Guerra Fredda 2.0, bin Salman ha dimostrato di non aver alcuna intenzione di schierarsi con una delle due parti in causa. Anzi: come dimostrano gli ultimi accordi sino-sauditi, è probabile che Riad continuerà ad avvicinarsi a Mosca e Pechino in nome dei propri interessi. Attenzione però, perché il Medio Oriente non è soltanto un punto di congiunzione tra Europa, Africa e Asia – e già questa caratteristica lo rende un hub chiave per il programma infrastrutturale transcontinentale cinese della BRI – ma è anche la principale fonte di petrolio greggio importato dalla Cina. I numeri parlano chiarissimo: nel 2021, il commercio bilaterale tra Arabia Saudita e Cina ha toccato gli 87,3 miliardi di dollari, facendo segnare un aumento del 30 per cento rispetto al 2020. Sempre un anno fa, le importazioni cinesi di greggio dall’Arabia Saudita si sono attestate a 43,9 miliardi di dollari, rappresentando il 77 per cento delle importazioni totali di merci dal regno.

La Cina si presenta come Mr Wolf per l’intera area mediorientale
Dal momento che gli Stati Uniti hanno concentrato la loro attenzione nell’Indo-Pacifico, allentando la loro presenza in Medio Oriente e nei Paesi del Golfo, la Cina ha pensato bene di riempire questo vuoto geopolitico. Per Pechino, tra l’altro, le praterie sembrerebbero essere piuttosto vaste. In particolare, ciascuna nazione della regione presenta particolari problemi che il Dragone potrebbe, a suo modo, risolvere. È così, intensificando la cooperazione Stato per Stato, che la Repubblica Popolare Cinese ha buone chance di raggiungere risultati concreti. Giusto per fare alcuni esempi, la Palestina vorrebbe l’aiuto e il sostegno della Cina nella costruzione della nazione, l’Egitto auspica più commercio e una più intensa cooperazione votata allo sviluppo, mentre il Sudan necessita aiuti per garantire la stabilità nazionale. Allo stesso tempo, Xi è ben desideroso di esportare la tecnologia made in e by China, oltre che approfondire gli investimenti cinesi in aree strategiche come porti, miniere, Difesa e tecnologia nucleare. Il tutto nell’ambito di relazioni senza vincoli né interferenze politiche su questioni che allarmano l’Occidente come la violazione dei diritti umani. Gli Stati Uniti sono preoccupati che la Cina stia invadendo la propria sfera di influenza nella regione. Nelle osservazioni riportate da Reuters e Afp, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che la Cina sta cercando di approfondire il suo livello di influenza in Medio Oriente in modi che «non favoriscono il mantenimento delle regole internazionali». Detto altrimenti, Pechino sta erodendo il ruolo di Washington come intermediario regionale, portando avanti i legami con l‘Iran, posizionandosi come partner degli Stati arabi del Golfo e garantendo loro le armi – come i droni – che gli Stati Uniti si sono rifiutati di fornire.