Un virus può risvegliarsi anche dopo 50 mila anni di ‘letargo’ e continuare a diffondersi. È il risultato di uno studio della Caltech, Università di Pasadena in California, nel Circolo polare Artico. Il riscaldamento globale sta scongelando il permafrost che ricopre un quinto dell’emisfero settentrionale, facendo riaffiorare dai ghiacci agenti radioattivi e patogeni del passato. Nessun allarme, in quanto i rischi sono ancora contenuti, ma è necessario non sottovalutare il problema e agire per mantenere lo status quo. Per il momento si tratta principalmente di virus che colpiscono organismi monocellulari e amebe, ma è certa la presenza di alcuni in grado di infettare l’uomo. Nel 2016 un batterio riemerso dal permafrost colpì decine di persone in Siberia.

Cosa sta succedendo nell’Artico e perché i virus zombie possono tornare in vita
Autrice dello studio è Kimberly Miner, scienziata del Jet Propulsion Laboratory della Nasa alla Caltech. Con lei ha collaborato anche Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica dell’Università di Marsiglia, che dal 2003 è al lavoro sui virus zombie del permafrost artico. Privo di ossigeno e di luce, lo strato di ghiaccio ha agito come una capsula del tempo, conservando i resti di antichi animali preistorici e i virus che li infettavano. L’aumento delle temperature ai poli, quattro volte maggiore che nel resto del globo, sta mutando le condizioni ambientali, portando a un progressivo scioglimento dello strato. «È fondamentale mantenere lo status quo», ha detto alla Cnn Miner. «Ci sono diversi elementi preoccupanti». Riaffiorano infatti le carcasse di rinoceronti lanosi e leoni delle caverne, ma anche agenti patogeni potenzialmente letali.

Il pericolo è ben documentato dai recenti studi di Claverie. Nel 2014, lo scienziato francese riuscì a ridare vita a un virus che colpisce microrganismi grazie alle colture cellulari. Il patogeno, vecchio di 30 mila anni, trovò presto tutte le caratteristiche infettive, come se il tempo non fosse mai passato. L’anno seguente ha ripetuto l’esperimento con un patogeno che infetta le amebe, riscontrando gli stessi risultati. Lo scorso febbraio ha lavorato su sette campioni prelevati in Siberia. Il più antico risaliva addirittura a 48.500 anni fa, il più recente a 27 mila anni. I risultati sono disponibili sulla rivista scientifica Viruses. «Non bisogna pensare a questa scoperta come una curiosità scientifica», ha sostenuto Claverie. «Si tratta di una seria minaccia per la salute pubblica, perché anche virus che colpiscono l’uomo potrebbero tornare a diffondersi». E ci sono prove certe che esistono.
Tracce di patogeni che colpiscono l’uomo rinvenute nel permafrost
Nel 1997 riaffiorò in un villaggio della Siberia il corpo di una donna contenente materiale genomico del ceppo influenzale responsabile della Spagnola. Dieci anni fa invece un team di esperti scoprì il corpo di un’altra donna, risalente però a tre secoli fa, con tracce di vaiolo. Il caso più preoccupante si è verificato nel 2016, in Russia, con il risveglio del batterio dell’antrace. Oltre 90 i contagiati, di cui 45 bambini, e un morto per aver contratto il Bachillus Anthracis, risvegliatosi dal permafrost per via di temperature che superarono i 35 gradi. Il virus aveva colpito anche gli animali, con l’immediato abbattimento di circa 2 mila renne. «La nostra difesa immunitaria si sviluppa in rapporto all’ambiente circostante», ha detto alla Cnn Birgitta Evengård, docente all’università svedese di Umea. «Potremmo non avere anticorpi sufficienti per virus di cui non sappiamo nulla».
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