«Come da copione. I fascisti (fascisti? più che altro testimonial) attaccano la Cgil. Il Viminale ordina restrizioni ai cortei, inclusi quelli dei sindacati. Bentornati Anni 70. Mancano solo i Bee Gees». Così scrive su Facebook Gianfrancesco Turano, giornalista inchiestista de l’Espresso. Come dargli torto? Ma a farci ripiombare negli anni in questione è anche il clima da opposti estremismi che in questi giorni, in queste ore, si respira nel nostro Paese, tra tweet, commenti giornalistici, prese di posizione politiche – a destra come nell’area liberal – che, se da destra appaiono un evidente tentativo di sminuire la gravità dei fattacci romani (e quindi le responsabilità degli autori, comunque la si metta legati all’area politica che Fratelli d’Italia rappresenta), per i più moderati costituisce una formidabile occasione per rivitalizzare la demonizzazione dell’estremismo sulla quale hanno costruito, per lungo tempo, il loro successo politico.

I neofascisti? E allora i centri sociali, gli anarchici, le foibe?
Di fronte all’inequivocabile matrice neofascista (non ce ne voglia Giorgia Meloni se ne azzardiamo, ai suoi occhi forse con sicumera, il colore) dei disordini romani, sfociati nell’assalto, anche simbolico, alla sede della Cgil, è quindi tutto un fiorire di “e allora?”. E allora gli scheletri nell’armadio della sinistra? (il filosofo Corrado Ocone su Huffington Post); e allora il comunismo? (Giuseppe di Lorenzo sul Giornale); e allora i centri sociali che hanno dato fuoco ai blindati della polizia, distrutto negozi, rovesciato auto per le strade? (Fabio Rampelli, vice presidente della Camera in quota Fratelli d’Italia sempre su Huffington Post); e allora gli anarchici e i centri sociali di Milano e Torino che Pd e sinistra non sono mai riusciti a condannare? (Giorgia Meloni su Facebook). E allora – in un crescendo degno del Belushi nei Blues Brothers – le purghe di Stalin? I Gulag? Budapest? Praga? I Khmer Rossi? Le stragi partigiane? Gli omicidi di Che Guevara? E non possono mancare all’appello le foibe (un classico). Ci fosse anche Bibbiano, il catalogo delle mostruosità compiute dalla sinistra sarebbe completo.
Il ritorno del manchismo veltroniano
Insomma, i fatti di Roma, e i loro responsabili di destra vanno condannati; ma anche (per usare la storica formula veltroniana) la sinistra non può passarla liscia. Se poi non ci si può riferire a casi attuali, ed equiparabili, c’è sempre il ricco forziere del passato a cui attingere. Nel gioco della corsa a indicare il misfatto, il tempo (e la dimensione storica) non contano nulla. E neppure la superficialità dell’analisi. Il politologo Giorgio Galli, per fare un solo esempio, proprio per evidenziare questa superficialità e la fragilità dei confronti improponibili, sosteneva, provocatoriamente ma fino a un certo punto, che se le due Guerre mondiali, non certo provocate dal comunismo, hanno prodotto 75 milioni di morti, e le purghe staliniane ne hanno prodotti 9 milioni, dunque Stalin dev’essere considerato un «mostro al 12 per cento». Al di là della debolezza intrinseca di questi confronti, sembra poi curioso, per usare un eufemismo, che anziché approfondire la vicenda specifica e valutare oggettivamente le responsabilità, si utilizzi da più parti (come detto con diversi intenti) l’arma del paragone proprio per eludere il giudizio puntuale sulla vicenda, e cercare di smorzarne la esecrabile portata. Tizio ha rubato un’auto? E allora Caio e Sempronio, sai quante ne hanno rubate? Ecco, il tenore della discussione è più o meno questo; mal comune mezzo gaudio. Mezzo gaudio, si intende, per chi procura il male comune.
La teoria degli opposti estremismi
Come si diceva, di fronte a questa ondata di «e allora?» non si può non riandare con la memoria alla cosiddetta teoria degli opposti estremismi che prese vita, e prosperò, va pur detto, negli Anni 70 del secolo scorso (ma qualcuno ne fa risalire gli albori addirittura ai tardi Anni 40, quando il centro politico cattolico, ovvero la Democrazia Cristiana di De Gasperi, si guardò bene dal proporre l’espulsione dal sistema dei partiti estremi, il Msi a destra, il Pci a sinistra, per agitarne continuamente lo spettro e guadagnare così crescente consenso tra i moderati), nel clima di violenza politica, e poi di terrorismo che caratterizzò purtroppo la vita, non solo politica, del nostro Paese. Utilizzato ufficialmente per la prima volta nel 1970 dal prefetto di Milano, Libero Mazza, in una informativa sul montante clima di violenza politica in città, fomentato appunto dalle forze extraparlamentari di sinistra e di destra (per Mazza, per la verità, più di sinistra), il termine – che la sinistra osteggiò sempre con forza, anche contrapponendogli quello di “strategia della tensione”, cioè la strategia adottata dalla destra per fomentare la violenza di piazza e promuovere così una svolta autoritaria da parte dello Stato – conobbe uno straordinario successo grazie al blocco delle forze centriste e moderate (il cosiddetto pentapartito, guidato dalla Dc e composto da repubblicani, socialisti, liberali e socialdemocratici) che ne fecero a lungo un cavallo di battaglia per indicare agli italiani il principale nemico della stabilità e delle istituzioni. In una parola, dello status democratico italiano. All’epoca non si usava la formula dello “e allora”, ma il concetto era lo stesso.

Salvini se la prende con i fascisti e con la Lamorgese
Additare i misfatti e i pericoli provenienti da destra e sinistra equivaleva automaticamente ad assumere un profilo rassicurante e affidabile. Un po’ come cerca di fare Matteo Salvini quando si dichiara antifascista, anticomunista e anti-estremista, affermando di voler condannare tutti gli atti di violenza, da qualunque parte provengano. Come nel caso di Roma, dove il leader leghista se la prende con i fascisti che hanno messo a ferro e fuoco la città, ma anche con la ministra Lamorgese che non ha saputo gestire, per incapacità o convenienza, la vicenda. Tradotto: “e allora la Lamorgese?”.
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