Li chiamano “vinyl digger”, sono i cercatori di vinile che viaggiano per il mondo alla ricerca di pepite ghanesi, etio-jazz cambogiano o pezzi di rarissimo funk boogie nigeriano. Ma chi sono questi cercatori d’oro dell’era moderna che poi mettono sul mercato le loro scoperte sonore e le vendono a caro prezzo a clienti di ogni tipo? Fan giapponesi e coreani amanti della musica afro degli Anni 70, musicofili colombiani appassionati della musica tradizionale del Benin o collezionisti inglesi pronti a spendere anche 1000 euro per un disco trovato magari in un magazzino infestato da scarafaggi in un villaggio nei sobborghi di Lagos.
Carlotta e Jacopo: dall’Italia alla Nigeria a caccia di vinili
Due tra i più straordinari digger di vinile in circolazione sono Carlotta Fiorio e Jacopo Rigoni, due ragazzi italiani di poco più di 30 anni che hanno fatto di questa passione il loro lavoro. «Tutto è iniziato con un viaggio in India. Jacopo cercava qualche disco raro da mettere nelle sue serate da dj», dice Carlotta, «poi così per gioco abbiamo unito le nostre due passioni, quella dei viaggi, e dell’Africa in particolare, con quella dei vinili e siamo partiti. Prima in Kenya, con lo zaino in spalla e un piccolo giradischi portatile a tracolla, poi in Costa d’Avorio. Successivamente siamo sbarcati in Nigeria, dove abbiamo fissato la nostra base operativa».

Nonostante la fama di Paese pericoloso, ridotto alla fame da un regime corrotto e sconvolto da banditi e guerriglieri, la Nigeria è una delle realtà musicalmente più interessanti dell’Africa. «La Nigeria è effettivamente un Paese pericoloso, la prima volta che siamo atterrati a Lagos ci tremavano le gambe. Scordati di utilizzare i mezzi pubblici o andartene in giro da solo. Non è possibile. Tuttavia, oltre a essere la patria di Fela Kuti e dell’afrobeat», racconta Jacopo, «la Nigeria ha una tradizione di reggae e di funk pazzesca e oltretutto all’epoca è stato l’unico Paese francofono all’interno del quale le grandi etichette come la Emi, la Sony o la Decca stampavano i dischi. Questo ha aiutato notevolmente il prosperare di un’infinità di piccoli gruppi che hanno moltiplicato la diffusione della musica».
Un mercato fatto di collezionisti ossessivi e semplici appassionati
La nascita di questa particolare categoria di esploratori, di cani da tartufo del vinile, si può collocare all’inizio degli Anni 80, a New York, con la nascita dell’Hip-Hop. Periodo nel quale produttori e dj scavavano in polverosi scatoloni pieni zeppi di vinili alla ricerca di qualche vecchio disco che contenesse al suo interno un particolare suono da campionare. L’avvento dei computer in concomitanza con la proliferazione di avvocati specializzati nel riconoscimento dei campioni con il tempo ha drasticamente decimato la categoria e più in generale ha cambiato il modo di produrre la musica. I digger però hanno saputo reinventarsi e creare un mercato basato sulla scoperta di preziosi vinili stampati in pochissime copie che successivamente vengono per l’appunto messi sul mercato e acquistati da una folta schiera di amatori su scala mondiale.

«Noi per esempio abbiamo scoperto di avere un sacco di richieste dalla Colombia, lì c’è un mercato assurdo di appassionati di musica nigeriana o kenyota, i famosi Pico, amanti di un particolare genere chiamato soukous che noi inizialmente nemmeno immaginavamo esistesse», continua Jacopo, «i nostri clienti tipo comunque sono molto diversi fra di loro. Si parte dai collezionisti ossessivi che ci scrivono ogni giorno per sapere se abbiamo quel titolo che magari aspettano da anni e che se un disco costa meno di 1000 euro non lo guardano nemmeno e si arriva alle persone normali che magari vogliono il dischetto particolare da inserire nella loro discoteca passando dagli appassionati di funk o rock psichedelico di ogni genere».

La Dig This Way Records e la ristampa di vecchie gemme del patrimonio musicale nigeriano
La vita di questi avventurieri però non è semplicissima anche perché in Nigeria la produzione di vinili è terminata all’inizio degli Anni 90 e scovare queste rarità a volte può risultare molto complesso, come racconta Carlotta: «Quando arriviamo nei villaggi e chiediamo dove possiamo trovare dei dischi la gente inizialmente ci guarda come fossimo due matti. Poi, piano piano, le persone si avvicinano, le porte si aprono e iniziano a portarci nelle loro case, nelle cantine, nei magazzini, nei garage e pile di vinili saltano fuori, spesso conservati in maniera assurda, magari completamente fradici o pieni di fango. In Nigeria il più delle volte i dischi sono stati distrutti, magari è stato dato loro fuoco o con la pioggia e l’umidità sono marciti». Collateralmente da questa esperienza è nata anche un’etichetta chiamata Dig This Way Records attraverso la quale Carlotta e Jacopo riportano alla luce, ristampandole, vecchie gemme del patrimonio musicale nigeriano andando alla ricerca degli artisti che le avevano prodotte e mettendoli sotto contratto. «Questo era il nostro sogno», conclude Carlotta, «dare la possibilità di far risuonare nei giradischi di mezzo mondo buona e nuova musica. La nostra è per così dire una missione che si può definire contemporaneamente culturale e antropologica».