La Guerra fredda è tornata, nuova, ibrida, spesso più virtuale che reale, ma comunque aggressiva e pericolosa. E con essa sono tornati i suoi protagonisti, su entrambi i lati della barricata. La narrazione occidentale ha un solo grande attore, Vladimir Putin: è lui l’incarnazione dell’Impero del Male di reaganiana memoria, in Russia come sulla scacchiera mondiale. E questo vale sia nei rapporti tra Stati, come dimostra l’attacco frontale rivolto a Putin dal presidente Usa Joe Biden che l’ha definito un «killer», sia per i media mainstream. Ma ridurre la nuova Guerra fredda a un duello Putin-Biden o le vicende interne alla Russia a quello tra Putin e Navalny rischia di falsare la realtà. Ci sono infatti altri attori a soffiare sul fuoco dello scontro, da Washington a Bruxelles e nelle capitali europee. E accanto al Fsb e al Gru, i servizi segreti interni ed esterni della Russia, ci sono da sempre la Cia, l’MI6 britannico o il Bnd tedesco (solo per citarne alcuni).
Victoria Nuland, falco bipartisan
Uno di questi protagonisti è la statunitense Victoria Nuland. Recentemente confermata vice del Segretario di Stato Anthony Blinken, da decenni la diplomatica è di casa a Washington. Durante l’amministrazione Obama era stata portavoce del dipartimento di Stato. Dal 2003 al 2005 aveva ricorperto il ruolo di consigliera per la Sicurezza del vicepresidente repubblicano Dick Cheney. Prima ancora, nell’era Clinton, era nel team del vice segretario di Stato Strobe Talbott. Insomma Nuland è sostanzialmente un falco bipartisan.

Il marito Robert Kagan, cofondatore del Pnac
Classe 1961, la vice segretaria di Stato è figlia del chirurgo e scrittore Sherwin Nuland, figlio a sua volta di ebrei immigrati negli Usa dall’ex impero zarista. È sposata con il politologo e storico Robert Kagan, co-fondatore del Pnac, Project for the New American Century. Un istituto di ricerca con base a Washington tra i cui fondatori figurano anche personaggi come Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Da sempre neoconservatore, nel 2016, Kagan ha abbandonato il Gop criticando il «fascismo» di Donald Trump e sostenendo Hillary Clinton. Con l’elezione del tycoon anche la moglie si prese una pausa lasciando Washington.
L’intercettazione «Fuck the Eu»
La maggiore notorietà pubblica Nuland l’ha raggiunta, involontariamente, nel dicembre del 2013 in Ucraina durante le proteste contro il presidente Victor Yanukovich che sarebbero sfociate nel regime change a Kiev. Fresca di nomina come assistente all’allora Segretario di Stato Joe Biden per gli Affari europei ed euroasiatici, Nuland venne intercettata in una telefonata in cui mandava letteralmente a quel paese («Fuck the Eu») l’Unione europea, rea a suo avviso di non voler seguire la volontà statunitense nella gestione esterna della crisi.

Nella capitale ucraina le manifestazioni erano appena all’inizio, ma la spontaneità popolare era già stata sostituita dallo script usato dagli Usa nelle passate rivoluzioni colorate e affidato ai gruppi di estrema destra. Gli stessi che poi avrebbero rifiutato ogni compromesso politico e di fatto condotto all’epilogo del bagno di sangue di Maidan. A Kiev con Nuland era stato catapultato anche John McCain, repubblicano fortemente antiputiniano, che tra i suoi consiglieri per la politica estera aveva anche Kagan. A quegli scontri seguirono il colpo di Stato, almeno secondo la versione di Mosca (non troppo lontana dalla realtà), l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass.
Il ritorno di Nuland a Kiev è un segnale per Mosca
Sette anni dopo l’inizio del conflitto nell’ex repubbica sovietica, la vice segretario di Stato è tornata a Kiev, tappa della sua prima visita in Europa con Antony Blinken a Kiev. Un segnale diretto nei confronti del Cremlino. Gli Stati Uniti combattono in Ucraina una proxy war con la Russia, una guerra per procura del tutto simile a quelle della prima vera Guerra fredda. Washington fornisce supporto in varie forme, finanziarie e militari, e ha sostituito Mosca come partner di riferimento per l’élite politica ucraina che è sostanzialmente ricattata su entrambi i fronti. Nuland è una delle artefici di questa strategia che ogni amministrazione, compresa quella Trump, non ha modificato. Resta da vedere come andrà a finire, soprattutto per l’Ucraina che dopo aver perso Donbass e Crimea, rischia nuove lacerazioni.