El Chapo di Caracas

Nicolò Delvecchio
21/07/2021

Il narcotrafficante Koki Revete comanda Cota 905, uno dei quartieri più difficili della capitale venezuelana, teatro delle violenze tra gang e militari in cui sono morte 26 persone. Ecco chi è il principale nemico di Maduro.

El Chapo di Caracas

Per un po’ ci siamo scordati del Venezuela, poi la realtà di un Paese allo sbando è tornata prepotentemente di attualità. A inizio luglio nella capitale Caracas l’esercito ha iniziato una violenta offensiva nei confronti delle gang criminali in diversi quartieri della città. Un’operazione voluta dal presidente Nicolas Maduro per provare a riprendere il controllo di aree in cui lo Stato manca da tempo e in cui, negli anni, le bande della criminalità organizzata hanno preso, guadagnato e consolidato il proprio potere. Negli scontri a fuoco sono morti in 26, la maggior parte membri dei clan, ma tra le vittime – e tra i feriti – si contano anche civili.

Chi è “El Koki” Revete, il principale avversario di Maduro

Le operazioni sono iniziate e si sono concentrate soprattutto nel quartiere nord-occidentale Cota 905, feudo del boss Carlos Luis Revete, detto “El Koki“. L’esercito di Maduro è entrato nel barrio con carri armati e lo ha monitorato dall’alto con l’aeronautica, la gang del Koki ha risposto attaccando la sede della Guardia Nazionale Bolivariana causando otto morti, di cui due militari. Sulla testa di Revete c’è una taglia da 500 mila dollari.

Ma questo è solo uno dei primati di Koki, su cui pende un mandato d’arresto dal 2012 ma che, abbastanza incredibilmente, non è mai finito in galera. Eppure è responsabile degli omicidi di diversi poliziotti e la sua banda è coinvolta in rapimenti, furti e traffico di droga. Il modus operandi della gang è noto, perché i suoi membri sono soliti dare fuoco ai corpi delle persone uccise. E non si può dire che non si sappia dove si nasconde, visto che per il web girano video delle sue feste con cantanti, dj e artisti molto popolari nel Paese, alcuni dei quali anche vicini al regime di Maduro. Nato nel 1978, Koki ha 43 anni ed è considerato un Highlander della criminalità organizzata. È infatti difficile che gli affiliati ai clan superino i 25.

Il Venezuela, i clan e le “zone di pace”

Cota 905 è in mano alla criminalità da tempo. Per provare a portare un po’ di tranquillità nel Paese, nel 2012 il governo di Hugo Chavez istituì alcune “zone di pace”: in cambio di un incentivo economico per iniziare attività legali, le gang avrebbero dovuto consegnare le armi e non sarebbero più state attenzionate dalla polizia. In sostanza, l’esecutivo scelse di privarsi del controllo di quartieri anche molto grandi – a Cota 905 vivono circa 700 mila persone – per mettere fine alle violenze. È stato ottenuto però l’effetto contrario: le zone di pace non hanno ridotto la criminalità e gli affiliati ai clan hanno in molti casi utilizzato quei soldi per comprare armi ancora più potenti. «Il piano ha finito per essere una boccata d’ossigeno per le strutture criminali», ha spiegato a El Pais Mármol García, avvocato penalista. «Dove lo Stato abbandona la sua presenza e le sue funzioni, la fauna criminale prolifera con micro-stati», che è quello che è successo al Venezuela.

Nel 2015 il regime di Maduro decise di rompere questa tregua e avviare L’Operazione di Liberazione del Popolo, un raid di militari e polizia che causò 15 morti, soprattutto tra innocenti. Come si è poi scoperto da un rapporto dell’Onu, Koki riuscì a sfuggire corrompendo alcuni agenti di polizia affinché lo avvisassero in tempo. Due anni dopo quel raid, la vicepresidente Delcy Rodriguez visitò il quartiere e concordò una tregua con la banda di Koki, rotta un’altra volta a inizio luglio 2021: anche in questa occasione, né Koki né i suoi alleati Carlos Calderón (“El Vampi”) e Garbis Ochoa (“El Garbis”) sono stati presi. Insieme, i tre comandano una mega-gang da oltre 60 affiliati, capace di controllare gran parte dei quartieri di Caracas e in grado di dissolvere la concorrenza delle bande più piccole. Cota 905 è già assicurata: «È impossibile vendere case a persone sconosciute ai clan, ma almeno i teppisti non ti derubano. E, se saltano gas o acqua, o se non arriva il cibo distribuito dal governo, basta una chiamata dei capibanda a risolvere il tutto», ha detto a El Pais un residente.

Violenze in Venezuela, Maduro accusa l’opposizione

Poteva mancare un attacco all’opposizione anche in una situazione del genere? Ovviamente no. Il presidente Maduro ha infatti incolpato Juan Guaidò (autoproclamatosi presidente a interim a inizio 2019, ma mai entrato in carica nonostante il sostegno di oltre 60 Paesi tra cui gli Usa) per il caos scatenato a Cota 905 e nei quartieri vicini. La settimana scorsa il suo braccio destro Freddy Guevara era stato arrestato per dei presunti legami con i gruppi paramilitari colombiani.

In tutto questo, il Venezuela vive una situazione disperata e senza precedenti nella sua storia. Nel 2020 il Pil del Paese (fino a 30 anni fa il più ricco del Sudamerica) è crollato del 15 per cento, e negli otto anni di governo Maduro l’economia si è ridotta di oltre il 70 per cento. Quasi l’80 per cento dei venezuelani si trova in condizioni di estrema povertà, e negli ultimi sei anni un sesto dei cittadini ha lasciato il Paese. Se in questo periodo un colpo durissimo lo ha dato il crollo del petrolio, settore trainante dell’economia venezuelana (un crollo dovuto anche alle pesantissime sanzioni imposte dagli Stati Uniti), la pandemia ha solamente aggravato la situazione. Nel 2019 il Venezuela ha patito la quarta crisi alimentare più dura al mondo, dietro solamente Yemen, Repubblica Democratica del Congo e Afghanistan. L’inflazione è alle stelle, e a marzo la Banca Centrale ha introdotto le nuove banconote da un milione di bolivar: valgono 50 centesimi di dollari, e servono quasi due milioni per comprare un chilo di farina.