Uno dei più abusati luoghi comuni quando si parla di rock’n’roll è quello secondo cui il primo album dei Velvet Underground ha venduto solo 30 mila copie nei primi cinque anni, ma quasi tutti quelli che l’hanno comprato hanno poi formato una band. Anche se la frase attribuita a Brian Eno non dovesse corrispondere al vero, è però certo che, a quasi 55 anni di distanza dall’uscita del disco con la banana in copertina, l’interesse per il gruppo di Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Moe Tucker è tutt’altro che scemato. Lo dimostrano l’uscita di un documentario sulla storia della band e di un album-tributo in cui musicisti come Iggy Pop, St.Vincent e Michael Stipe dei R.E.M. rileggono proprio le canzoni di The Velvet Underground & Nico, dirompente debutto datato 1967.

The Velvet Underground e il lavoro certosino di Todd Haynes
Presentato all’ultimo festival di Cannes, The Velvet Underground uscirà il 15 ottobre su Apple Tv e può contare su un paziente lavoro di studio e montaggio di immagini di repertorio compiuto da Todd Haynes, la cui passione per la musica è ben nota dai tempi di Velvet Goldmine, film che racconta la storia dell’inchiesta su un idolo del glam rock scomparso misteriosamente dopo aver messo in scena il proprio suicidio artistico. Ma se quello era un lavoro di fiction, anche se con più di uno spunto d’ispirazione tratto dal personaggio di David Bowie, quello in uscita è, come detto, un documentario sulla breve ma intensissima storia della band (quattro album nel giro di tre anni, più una reunion live che nel 1993 toccò anche l’Italia), sulla Factory, ambiente decisivo per il suo sbocciare soprattutto grazie al contributo di un mentore come Andy Warhol, e sulla New York di quegli anni.
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Il tributo di I’ll Be Your Mirror
I’ll Be Your Mirror, l’album-tributo uscito il 24 settembre, omaggia invece il primo disco del gruppo attraverso le reinterpretazione dei suoi brani, affidate anche a Matt Berninger dei National, Courtney Barnett, Fontaines D.C., Thurston Moore dei Sonic Youth, Bobby Gillespie dei Primal Scream e altri ancora.
L’altra faccia dei Velvet
The Velvet Underground & Nico era un disco avantissimo, non solo per l’epoca. Sarebbe potuto uscire anche un anno prima (e a quei tempi sei mesi per la musica rappresentavano un’era geologica) se solo la casa discografica Verve non si fosse persa in titubanze legate a musica e testi, e se Herb Cohen, il manager di Frank Zappa, non avesse brigato per fare uscire prima Freak Out! delle sue Mothers Of Invention. Quell’album metteva insieme la melodia e rumore, il look (basti pensare ai giubbotti di pelle, agli occhiali avvolgenti e soprattutto alla presenza Christa Päffgen, in arte Nico, bellissima modella tedesca imposta da Andy Warhol e inizialmente sgradita a Lou Reed), New York, perversioni di vario tipo, letteratura e droga. Avevano tutto per piacere a tutti, i Velvet, eppure non erano una band “facile”, tutt’altro, ed erano il contrario del Peace&Love dell’epoca. Basti pensare che il loro nome deriva da un libro sulle perversioni sessuali trovato per terra su un marciapiede di New York da un amico di Lou Reed e John Cale. E poi c’è la banana di Andy Warhol, forse più famosa dell’album stesso. “Sbuccia delicatamente e guarda”, c’era scritto sulle prime copie del disco. La buccia gialla era infatti adesiva, e copriva un frutto color carne. Oggi quelle canzoni sono perfino nelle pubblicità, non certo Heroin, che già dal titolo non sarebbe adatta, e neppure Venus In Furs con il suo affresco sadomaso. Ma Sunday Morning, cantata proprio da Nico, è stata scelta da Enel ed H&M per i loro spot, tanto per fare due esempi.
I Velvet sono stati il gruppo più importante della storia del rock? Per molti sì. Dipende da quello che cercano, nel rock. «La risposta» ha scritto Arturo Compagnoni su Rumore, mensile musicale che si avvia al trentesimo anno di vita, «non può che essere affermativa; perché se è vero che la musica rock ha molte rappresentazioni differenti, per ognuna delle quali può essere individuato un soggetto maggiormente rappresentativo, per noi, che intendiamo l’attitudine al rumore come propensione alla provocazione e intenzione di sabotare schemi e comportamenti prestabiliti, la formazione che ha rappresentato tutto ciò può essere una sola».
