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Vaccino di banco

L’ok alla somministrazione per gli under 12 potrebbe arrivare a metà novembre in Europa. Ma, nonostante la diffusione della variante Delta e la riapertura delle scuole, molti medici restano scettici sull’opportunità dell’inoculazione. Ecco perché.

3 Ottobre 2021 15:535 Dicembre 2021 16:51 Gianna Milano
Con l'apertura delle scuole è tornata in auge la questione del vaccino ai minori, ecco perché molti medici restano scettici

Ci sono sono buone ragioni per estendere il ricorso alla vaccinazione anti-Covid in età pediatrica? È la riapertura delle scuole a sollecitare la fretta? O la variante Delta? Molte le domande, altrettante incertezze. Poche le risposte. Gli stessi esperti – pediatri, immunologi, virologi – sono divisi. È di questi giorni l’annuncio di Pfizer-BioNtech che il loro vaccino (già autorizzato, per i ragazzi dai 12 anni in su dall’Fda, l’ente regolatorio per i farmaci negli Usa, e dall’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali)  è «efficace e sicuro e produce una robusta risposta immunitaria» anche dai 5 e agli 11 anni. «L’industria farmaceutica lo ha fatto sapere con un comunicato stampa senza fornire i dati della sua sperimentazione. I risultati – che non sono stati pubblicati su una rivista scientifica e che, a detta di Pzifer- BioNtech, si sovrappongono a quelli ottenuti negli adolescenti – non sono stati sottoposti a una verifica di peer-reviewer, ossia di esperti paritari», ha scritto il New York Times. Aggiungendo: «Prima che venga autorizzato per un uso di emergenza gli scienziati dell’Fda devono poter visionare i dati e verificare i possibili effetti collaterali». L’approvazione per la fascia di età 5-11 anni potrebbe già arrivare a fine ottobre negli Usa e a metà novembre in Europa. E a seguire quella per i più giovani, da sei mesi a 5 anni.

Vaccino, la sperimentazione sugli under 11 al via da sei mesi negli Usa

La sperimentazione del vaccino Pfizer-BioNTech sui piccoli ha coinvolto dall’inizio dell’anno 4.500 bimbi dai sei mesi agli 11 anni arruolati dalle due aziende negli Stati Uniti, in Finlandia, in Polonia e in Spagna, 2268 avevano tra 5-11 anni. Ancora, due terzi di loro hanno ricevuto due dosi di vaccino a distanza di tre settimane, gli altri un placebo. A tal proposito, scrive sempre il New York Times: «I ricercatori hanno verificato la risposta immunitaria, partendo dal presupposto che i livelli di anticorpi possano essere protettivi anche nei bambini, criterio utilizzato anche negli adolescenti e negli adulti. Ma dal momento che i bambini si ammalano più raramente, lo studio non è stato condotto per arrivare a conclusioni significative circa la possibilità del vaccino di evitare ospedalizzazioni». La risposta immunitaria è stata ottenuta con 10 microgrammi: un terzo della dose per i giovani e gli adulti. Mentre nei piccoli con meno di 5 anni la dose è stata di un decimo. Le aziende non hanno fornito dati su eventuali bambini immunizzati che durante lo studio si sono contagiati dopo aver ricevuto il vaccino. I risultati di un trial con Moderna, l’altro vaccino a mRna, negli under 12 sono attesi per inizio dicembre. «Non saranno un proiettile magico, ma i vaccini per i bimbi sono un passo nella giusta direzione», ha scritto nella sua newsletter Katelyn Jetelina, epidemiologa dell’Università del Texas Health Science Center di Houston, negli Usa.

Con l'apertura delle scuole è tornata in auge la questione del vaccino ai minori, ecco perché molti medici restano scettici
Il vaccino a un bambino in Honduras

Resta il quesito principale: Giusto o sbagliato vaccinare preadolescenti e adolescenti? «Una decisione difficile da giustificare in questo momento nella maggior parte dei paesi» ha scritto Jennie S. Lavine sul British Medical Journal. «A causa della gamma di varianti che man mano emergono gli effetti sulla trasmissione del virus sarebbero modesti e non si conosce la durata della immunità indotta dal vaccino rispetto all’infezione naturale. Paesi come la Norvegia hanno ottenuto livelli bassi di contagio pur mantenendo aperte le scuole primarie, e ciò suggerisce che i ragazzini hanno un ruolo limitato nel mantenere la catena dell’infezione e che vaccinarli costituisce un beneficio marginale nel ridurre il rischio per gli altri». Una consistente letteratura scientifica suggerisce che bambini e adolescenti si infettano meno degli adulti e con sintomi lievi qualora ciò accade, anche se esposti alla variante Delta. Se positivi raramente trasmettono il Sars-Cov-2 ai coetanei o agli adulti. In definitiva non sono dei grandi diffusori e vaccinarli influirebbe poco sul decorso della pandemia. Ma c’è chi ritiene – soppesando rischi/benefici – che l’urgenza ad autorizzare il vaccino anti-Covid in bambini e adolescenti sia opportuna per evitare le conseguenze negative sulla loro salute  psicologica causate dall’isolamento, come la chiusura prolungata delle scuole durante il lockdown. Ansietà, depressione, disturbi del sonno, perdita dell’appetito, fenomeni di autolesionismo sono aumentati, così come l’abbandono della scuola da parte dei più svantaggiati, scrivono Marco Marchetti e Giorgio Tamburlini, pediatri, in una lettera sul British Medical Journal.

Al Bambin Gesù nessun bambino in terapia intensiva

«Non sono contrario in assoluto al vaccino, ma la malattia nei bimbi è rara, al Bambin Gesù di Roma neppure uno è finito in terapia intensiva, al massimo ci sono state degenze di tre, quattro giorni», ha detto Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Ospedale di malattie infettive Spallanzani di Roma. intervistato da Il Fatto quotidiano. «Anche il contagio resta molto basso. Quindi se non sono infetti non contagiano, anche perché tendenzialmente ormai dovrebbero stare con genitori vaccinati che li portano a scuola da insegnanti vaccinati». E ancora: «Non possiamo andare sempre a rincorrere comunicati stampa delle case farmaceutiche: ne riparleremo, eventualmente, quando si pronunceranno le agenzie regolatorie. Al momento non ci sono evidenze scientifiche inoppugnabili. I numeri dei trial sono troppo piccoli». I bambini, prosegue l’immunologo, si proteggono anche con aule capaci, con distanze possibili, invece siamo ancora alle classi pollaio, come denunciano presidi e operatori scolastici. Per non parlare del problema dei trasporti per portarli a scuola. «Autobus nuovi e ampi, che permettono una giusta distanza? Sanificati? Non mi pare», aggiunge Vaia.

Ma tra benefici e rischi, da che lato pende la bilancia: «Bambini con gravi problemi cronici di salute o malattie acute direi che dovrebbero avere accesso a un vaccino. Ma altrimenti nei sani, nessuno al momento può esserne sicuro», ha scritto sul British Medical Jornal, Dominic Wilkinson, neonatologo e professore di etica medica all’Università di Oxford. In Gran Bretagna, dove il vaccino anti-Covid è autorizzato dai 12 anni in su, il Joint Committee on Vaccination and Immunization (Jcvi) ha redatto l’agosto scorso un documento con punti chiave per valutare l’opportunità di immunizzare i più giovani. «Il focus dei programmi di vaccinazione di bambini e ragazzi dovrebbe essere il loro beneficio e i dati disponibili indicano che nella fascia di età dai 12 ai 15 anni questo è minimo, a meno che non esistano condizioni di salute che li mettono a rischio, qualora si ammalassero di Covid-19, come nei casi di piccoli pazienti con neoplasie ematologiche, diabete di tipo 1, patologie cardiache congenite, asma, infezioni respiratorie, malattie neurologiche, disturbi cronici di fegato e reni e un sistema immunitario compromesso». Nei giovani sani il rischio – anche se raro – che il vaccino anti-Covid a mRna, come Pfizer– BioNTech e Moderna, sia correlato a miocarditi esiste: un caso ogni mille dosi nei maschi, secondo uno studio coordinato da Andrew Crean, professore di medicina all’Ottawa Heart Institute, in Canada. (Crean avrebbe ritrattato i suoi risultati dopo una serie di critiche ricevute sui dati del suo studio, n.d.r.). Una ricerca israeliana aveva segnalato una frequenza di  un caso di miocardite su seimila nei maschi immunizzati tra i 16 e i 24 anni: dato sovrapponibile al tasso di incidenza nella popolazione generale indipendentemente dai vaccini. Certamente è necessario un ulteriore follow-up dei vaccinati per verificare i possibili esisti nel lungo termine. L’ipotesi è che i livelli elevati di anticorpi che i vaccini a mRna possano portare a una reazione infiammatoria del muscolo cardiaco.

It’s official: We have submitted initial data from the pivotal trial of our COVID-19 vaccine in children 5 to under 12 years of age to the @US_FDA: https://t.co/XORlEFksAs

— AlbertBourla (@AlbertBourla) September 28, 2021

Negli Usa il ricovero di Under 18 è stato pari al 2 per cento del totale

Un recente articolo su Nature, riferendo i dati raccolti dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie negli ospedali in Usa, informa che le persone di età inferiore ai 18 anni hanno rappresentato meno del 2 per cento dei ricoveri: un totale di 3.649 bambini tra marzo 2020 e fine agosto 2021. Alcuni di loro si sono ammalati in forma grave e più di 420 sono morti, ma la maggior parte delle persone decedute sono adulte. Tendenza confermata in molti paesi nel mondo, Italia compresa. (A oggi nel nostro paese si sono infettati oltre 260mila bambini con meno di 9 anni e 14 i decessi. Tra i 10 e i 19 anni ci sono stati invece 480 mila positivi e 19 vittime. Gli adulti morti oltre 130 mila: età media 80 anni). «Sars-Cov-2 è un virus anomalo, perché solitamente i più vulnerabili agli altri virus, da quello dell’influenza a quello respiratorio sinciziale, sono non solo gli anziani, ma anche i piccoli», prosegue Nature. «In questo caso non è così: i bambini sono naturalmente più bravi a controllare l’infezione virale. Perché la loro risposta immunitaria innata è pronta ad attivarsi subito», ha detto Betsy Herold, pediatra esperta di malattie infettive all’Albert Einstein College of Medicine, negli Usa.

Immunità innata e adattiva

Quando viene esposto a un agente patogeno, la prima risposta del sistema immunitario è reclutare globuli bianchi, come macrofagi, neutrofili e cellule NK, per tenere a bada l’intruso: è l’immunità innata che controlla e rallenta il 90 per cento dei patogeni. Dopo l’infezione segue una reazione più mirata su due fronti: è l’immunità adattativa. Il primo fronte prevede la produzione di anticorpi, da parte di cellule note come linfociti “B” (che maturano nel midollo osseo). L’altro fronte è quello dei linfociti T (che maturano nel timo). Sono i direttori d’orchestra del sistema immunitario che riconoscono e uccidono le cellule infette. Se gli sforzi congiunti di macrofagi, neutrofili, cellule NK, linfociti B e T sono sufficienti il virus sarà eliminato e il sistema immunitario conserverà memoria dell’invasore, pronto a reagire nel caso si ripresentasse.

L’emergere della variante Delta, che ha una straordinaria capacità di trasmissione, ha reso urgente la ricerca di risposte: anche se per ora, secondo Herold, non ci sono prove chiare che i bambini siano più vulnerabili o più colpiti dalla Delta rispetto alle varianti precedenti. Sars-CoV-2, come tutti i virus, muta costantemente e migliora nell’eludere le difese dell’ospite, e questo rende essenziale capire quali sono i fattori protettivi nell’infanzia. Insomma, come mai i bambini sono più efficienti degli adulti a tenere a bada il virus responsabile della pandemia. Si sono avanzate varie ipotesi. Secondo alcuni ricercatori è perché hanno meno recettori Ace2, che il virus utilizza per infettare le cellule. Ma le prove sulle differenze legate all’età nell’espressione di Ace2 nel naso e nei polmoni sono contrastanti: non ci sarebbe una chiara differenza fra adulti e bambini della carica virale nelle vie aeree superiori. Un’altra ipotesi è che i bambini siano più esposti ad altri coronavirus che causano il comune raffreddore e quindi abbiano anticorpi pronti ad attaccare il virus pandemico, scrive Nature. Herold e i colleghi hanno cercato di verificare se ci fosse qualcosa di specifico nella risposta immunitaria dei bambini che offrisse loro un vantaggio. Alcuni indizi li hanno trovati nel sangue di chi era stato contagiato: nel complesso, i pazienti più giovani (con sintomi lievi) producevano livelli simili di anticorpi alla coorte più anziana. Ma avevano meno anticorpi specializzati e cellule legate alla risposta immunitaria adattativa. Ora Herold sospetta che nei bambini quest’ultima sia meno robusta perché la loro risposta innata è più efficiente nell’eliminare la minaccia.

Nei bambini positivi al Covid una risposta adattiva più bassa

Un altro studio, riferisce sempre Nature, condotto da ricercatori di Hong Kong, su adulti e bambini infetti da Sars-CoV-2 ha rilevato come la risposta adattativa, in particolare delle cellule T sia meno potente nei bambini, a conferma che qualcosa succede molto presto a innescare la differenza. Ma anche altri fattori, come la riduzione dell’infiammazione e una risposta adattativa più mirata, potrebbero essere importanti. Non è tutto. I ricercatori hanno anche notato che i bambini infetti hanno livelli inferiori di cellule note come monociti, compresi i monociti infiammatori, che fungono da ponte tra il sistema immunitario innato e quello adattativo. In uno studio pubblicato come preprint il 4 luglio, Lael Yonker, pediatra e pneumologo al Massachussetts General Hospital di Boston, ha scoperto che il numero di cellule linfoidi innate nel sangue delle persone con Covid-19 diminuiva con l’età ed era più basso negli maschi, rispecchiando il maggior rischio di malattia grave osservata negli uomini anziani.

Con l'apertura delle scuole è tornata in auge la questione del vaccino ai minori, ecco perché molti medici restano scettici
Vccino Pfizer-BioNTech

Perché i bambini si infettano più difficilmente?

Che la chiave di tutto sia nella tempestività della risposta immunitaria? «Se per noi adulti ci vogliono due giorni per attivare il sistema di difesa contro il virus nei bambini parte subito» ha detto Roland Eils, professore di medicina computazionale all’università di Berlino. «È il ritardo che fa la differenza tra noi e loro. Tra i bambini che si sono ammalati gravemente alcuni avevano carenze nella risposta immunitaria innata. In definitiva, ci deve essere un tempismo perfetto e un equilibrio tra una risposta iniziale carente e una eccessiva, che può essere ugualmente dannosa». L’immunità innata, tuttavia, non racconta l’intera storia, affermano alcuni ricercatori, soprattutto considerando quanto sia connessa con la risposta adattativa. «L’idea che il tono immunologico sia diverso nei bambini sembra probabile», ha detto a Nature Laura Vella, immunologa e ricercatrice di malattie infettive pediatriche presso il Children’s Hospital di Philadelphia, in Pennsylvania. Ma cosa contribuisce a fare questa differenza? «Potrebbero essere molte cose insieme. Anni di esposizione ad altri coronavirus potrebbero far sì che il sistema immunitario degli adulti si avvicini al Sars-CoV-2 come farebbe con altri virus, dando luogo a una risposta meno efficace». Con l’avanzare della pandemia, gli immunologi temono che il virus possa evolvere in modo da vanificare parte della protezione garantita dalla risposta immunitaria innata dei bambini.

Molte sono le incognite che pongono le varianti e molte le incertezze su efficacia e sicurezza dei vaccini anti-Covid nei più giovani. Queste, come abbiamo già raccontato, hanno spinto la rete Sostenibilità e Salute e varie Associazioni mediche italiane, oltre a un migliaio fra operatori sanitari e ricercatori, a sottoscrivere un appello per una moratoria alla vaccinazione anti Covid-19 ai bambini. Lontana dalla dimensione dei No-vax, l’iniziativa vuole essere piuttosto un modo per dar voce a dubbi accantonati forse un po’ troppo in fretta.

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