Urso, Casellati e i problemi del governo Meloni con gli staff

Carlo Ciarri
31/01/2023

Dopo l'addio del capo di gabinetto della Casellati, se ne vanno anche il portavoce e la segretaria di Urso: Pelosi e Colucci. La scintilla è stata il pasticcio con lo sciopero dei benzinai, con l'accordo sbandierato dal ministro alla Meloni e poi invece saltato, tra urla e sfuriate. I retroscena delle tensioni nel cosiddetto "sottogoverno".

Urso, Casellati e i problemi del governo Meloni con gli staff

Il governo Meloni perde pezzi. Non parliamo di ministri o di sottosegretari, ma di quelle figure, spesso poco conosciute dal grande pubblico, del cosiddetto sottogoverno. Capi di gabinetto, portavoce, segretari particolari. Dopo le dimissioni di Alfonso Celotto, capo di gabinetto della ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati, è arrivata l’uscita di Valentina Colucci, segretaria particolare del ministro per le Imprese e il Made in Italy (Mimit) Adolfo Urso, che ha dovuto registrare anche l’addio del suo portavoce Gerardo Pelosi.

Fibrillazioni sullo sciopero dei benzinai

Dopo i litigi al ministero guidato da Casellati, si racconta di nervi tesissimi anche in via Veneto, con tanto di urla ed espressioni blasfeme gridate durante le riunioni. A innescare la scintilla capace di convincere Pelosi, che era arrivato da Il Sole 24 ore, a mollare l’incarico, pare essere stata la questione dello sciopero dei benzinai. Lo staff del ministero – viene raccontato – sarebbe stato impegnato in una trattativa coi distributori per scongiurare la serrata dopo le accuse ricevute dall’esecutivo di speculare sui prezzi in seguito al mancato rinnovo dello sconto sulle accise deciso da Palazzo Chigi a guida Giorgia Meloni.

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Giorgia Meloni. (Getty)

L’accordo sbandierato ma poi saltato

Gli uffici del Mimit avevano trovato un’intesa con alcune delle sigle sindacali per evitare la protesta e si erano anche messi in moto per darne un’ampia comunicazione; Urso però si è “speso” l’accordo con la premier, che si trovava all’estero, dandolo per fatto. Nel mentre, una parte sindacale esclusa dall’intesa ha avvertito un giornalista per ribadire che ancora la quadra non era stata trovata. E così il cronista ha alzato il telefono e chiamato direttamente il ministro. Che, dopo aver ascoltato quello che gli veniva riferito, ha sbottato con lo staff, tra urla e bestemmie, accusandolo di aver fatto saltare la trattativa. Il tira e molla è arrivato anche alle orecchie della Meloni che, ovviamente, non ha fatto mancare il suo forte disappunto al ministro per la cattiva gestione del dossier.

Urso si fida solo del capo di gabinetto Eichberg

Proprio questo episodio, da quanto è stato possibile ricostruire, riassumerebbe uno dei principali problemi al Mimit, che avrebbero spinto i due collaboratori all’addio. Il ministro tenderebbe ad accentrare totalmente sia il lavoro sia l’organizzazione della struttura. Per fidarsi solo del capo di gabinetto, Federico Eichberg. Urso insomma è accusato di gestire il rapporto con i media in prima persona, mandando all’aria (cosa che sarebbe avvenuta proprio nel caso dello sciopero dei benzinai) eventuali strategie comunicative studiate dallo staff.

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Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso. (Getty Images).

Colucci, presenza fissa negli ultimi governi

Una situazione che di fatto avrebbe spinto alla porta anche Valentina Colucci, presenza fissa nei gabinetti degli ultimi governi: capo segreteria della sottosegretaria Sandra Zampa alla Salute, poi alla Transizione digitale con Vittorio Colao e infine ai Rapporti con il parlamento con il grillino Federico D’Incà, solo per citare le ultime esperienze.

Anche Meloni in difficoltà sui comunicatori

Molti sostengono che Urso – e si ritorna alle manie accentratrici del ministro – sarebbe recalcitrante a delegare. Se tre indizi fanno una prova, si può dire che l’esecutivo Meloni ha un problema con gli staff. E cosa succederà quando il governo si troverà a scegliere i prossimi dirigenti pubblici dopo aver urlato tanto per esercitare il (sacrosanto) diritto allo spoils system? Del resto, anche la premier ebbe i suoi problemi per formare la squadra dei comunicatori di Palazzo Chigi. Fece rumore, infatti, il rifiuto del giornalista di Sky Tg24, Andrea Bonini, davanti all’offerta di ricoprire l’incarico di portavoce. Al suo posto, Meloni si rivolse poi a Fabrizio Alfano, giornalista dell’Agi, e già portavoce di Gianfranco Fini ai tempi della presidenza della Camera.