Primitivo in fasce

Redazione
05/11/2021

Ritrovati in un passaggio impervio di un complesso di grotte sudafricane, i resti appartengono a un bambino di età compresa tra i quattro e i sei anni, vissuto 260 mila anni fa. È il più giovane Homo naledi mai scoperto.

Primitivo in fasce

Un documento descrive il teschio, l’altro analizza il luogo in cui è stato trovato. Due articoli diversi, pubblicati sulla rivista di settore PaleoAnthropology, hanno raccontato l’importante scoperta. Il cranio di un Homo naledi rinvenuto nel 2017 in un complesso di grotte patrimonio dell’Unesco nella provincia sudafricana di Gauteng. Anzi più precisamente di un bambino, il primo della specie, che avrebbe un’età compresa tra i quattro e i sei anni e sarebbe vissuto tra i 236 mila e 335 mila anni fa. In totale, 28 frammenti e sei denti che consentono di risalire all’età, spiegano i ricercatori dell’università di Witwatersrand. Anche questa, però, come le cause della morte rimane e il sesso, rimane un punto parzialmente avvolto nel mistero. Lo ha confermato Lee Berger, professore all’Università di Witwatersrand: «Non sappiamo quanto velocemente crescesse l’Homo naledi. Al momento possiamo dire solo fosse giovane».

Il ritrovamento dell’Homo naledi, Leti, in un passaggio angusto

Leti (di cui si parla e scrive al femminile), questo il nome scelto, è stata rintracciata in un anfratto particolarmente remoto, a circa 12 metri di profondità nel complesso di caverne Rising Star. I frammenti del suo cranio sono stati recuperati da una nicchia calcarea strettissima, larga appena 15 centimetri e alta 80, a circa altrettanti dal suolo. Una posizione talmente insolita che gli scienziati credono possa esservi stata messa appositamente, magari per un rito di sepoltura. Teoria supportata dall’assenza di danni causati da carnivori o da un trasporto avvenuto grazie all’acqua. «Naturalmente c’è del mistero sulle modalità con cui il teschio di un bambino sia arrivato fin lì», ha detto ha affermato Berger, direttore di il Center for Exploration presso la Wits University.

La scoperta di Leti, ricalca quella di Neo, altro Homo naledi rinvenuto in un passaggio angusto. Così, dopo aver riassemblato il cranio, gli scienziati lo hanno confrontato con antichi individui di dimensioni simili, tra questi il primitivo Australopithecus africanus. Sulla base della loro analisi, la scatola cranica di Leti avrebbe supportato un cervello di circa 450-610 centimetri cubi, circa il 90-95 per cento delle dimensioni che avrebbe raggiunto se fosse diventata adulta. Per intenderci, la grandezza di un’arancia. Mentre le mani degli Uomini naledi ricordano quelle umane, le ossa delle dita ricurve suggeriscono che sapessero arrampicarsi e utilizzare strumenti. «Pur avendo tratti primitivi, hanno vissuto in un’epoca in cui si riteneva che in Africa ci fossero solo esseri umani moderni. La loro stessa presenza in quel momento e in questo luogo complica la nostra comprensione di chi abbia fatto per primo determinate scoperte o dato vita a pratiche rituali».

Il complesso di grotte in cui è stato ritrovato l’Homo naledi

Dalla scoperta iniziale dell’Homo naledi, nel 2013, il team ha recuperato quasi 2.000 frammenti riconducibili a diverse fasi della vita di più di due dozzine di individui. «Questo rende il sito il più ricco di fossili di ominidi nel continente africano», ha affermato John Hawks, Professore d’eccellenza di Vilas-Borghesi presso l’Università del Wisconsin-Madison. Rising Star, d’altronde, conta oltre due chilometri di afranti e passaggi. Ma l’unico percorso noto per raggiungere la Camera Dinaledi, cuore del complesso, è chiamato lo Chute, una fessura alta 12 metri che ha punti larghi solo 18 centimetri. E sebbene gli scienziati abbiano cercato altri modi per accedervi, finora ogni sforzo si è rivelato vano. Nonostante ciò, le varie esplorazioni hanno rivelato che esisterebbero quattro nuovi depositi fossili, dove potrebbero esserci altri resti dell’Homo naledi. Un viaggio, insomma, appena cominciato.