Su Prime video esce il documentario (chiamiamolo così) Ultimo-Vivo coi sogni appesi, evidentemente dedicato al cantautore di San Basilio, Roma. È l’ultimo, per ora, di una serie neanche troppo corta, che ha visto la rete di Jeff Bezos sfornare film che ruotassero, più o meno, intorno alle vite di Laura Pausini, Sfera Ebbasta, Tiziano Ferro, Emma Marrone, Elodie e, appunto, Ultimo. Che si tratti di veri e propri film – nel caso della cantante di Solarolo l’idea era una specie di racconto parallelo tra la regina che la tiene como todas e una Pausini che non avendo imboccato la porta giusta, siamo in zona sliding doors, esternava la sua passione per il canto nei pianobar romagnoli – o di veri e propri documentari a tesi – Tiziano e il suo essere un ex alcolista, in passato già bulimico, bullizzato, gay desideroso di paternità, gay con figli e felicemente sposato -, il documentario sulla popstar sembra tirare, o almeno così ci danno da intendere quelli delle piattaforme, che non smettono di investirci su soldoni.
L’errore fatale di non cogliere la differenza tra agiografia e biografia
Che nessuna di queste opere, a oggi, abbia minimamente mostrato qualcosa di interessante, temo sia più un effetto collaterale dello sparare nel gruppo che una scelta editoriale – chi in effetti punterebbe mai sulla noia mortale? – perché la presenza costante dell’artista al centro della scena, parlante in prima persona, rimanda all’errore fatale di chi non sa cogliere la differenza tra agiografia, leggi alla voce “santino”, e biografia. Lo dice uno che nella vita ha prima vestito i misteriosi panni del ghost writer, scrivendo svariate di quelle autobiografie, appunto agiografiche, che gli artisti firmavano pur non avendo scritto una sola parola, salvo poi passare a scrivere biografie sui medesimi artisti, e anche su altri, finendo per co-firmarne diverse con nomi importanti – penso alle quattro realizzate con Vasco Rossi, penso a Caparezza, penso a Cesare Cremonini e altri.

Focus solo sui successi e sulle sfumature affascinanti
Perché una biografia, o una autobiografia, funzioni – e i casi su citati hanno decisamente funzionato, lo dico forte del fatto di non essere di certo il motivo per cui i lettori hanno acquistato quei libri – deve essere giocoforza presente un gioco di luci e ombre, esattamente come accade in pittura, dove la profondità e quindi la prospettiva non è certo data solo dalle luci. L’agiografia – metto in queste considerazioni anche i tanti, troppi libri firmati da fan che ciclicamente arrivano sul mercato, non sfiorandolo – è per sua natura una specie di gigantesco occhio di bue puntato sugli aspetti positivi di una carriera, leggi alla voce successi, così come sulle sfumature affascinanti del carattere del protagonista. Anche laddove si provi a sottolineare certe spigolosità – nel caso di Ultimo una certa cupezza di fondo, come anche una apparente ritrosia ad aprirsi troppo – lo si fa con intenti lodevoli, come di chi a domanda «qual è il tuo principale difetto?» risponde «sono troppo generoso».

Spaccati di vita privata posticci e plastificati
Così capita che, tra spaccati di vita privata che, però, appaiono sempre posticci, decisamente troppo plastificati per risultare veri, la presenza costante di collaboratori (i manager su tutti, Max Brigante era già ben presente anche in quella di Elodie), foto sgarrupate delle periferie di provenienza, che però, come la Cuba patinata di Buena Vista Social Club nulla del reale lascia trasparire, non basta definirsi Ultimo per continuare a esserlo, anche nel momento in cui si è una popstar assoluta, quella seconda solo a sua maestà Vasco Rossi in quanto a numeri di biglietti di concerti venduti nell’estate.

Raccontarsi in un documentario risulta superfluo e noioso
Intendiamoci, che Ultimo meriti di essere raccontato è sacrosanto, così come che siano vere le lacrime che esibisce proprio all’inizio del suo documentario, mentre canta “da quando ero bambino, solo un obiettivo” allo Stadio Olimpico, di fronte a oltre 63 mila persone, anno del Signore 2019: ma forse per uno che già si racconta, e racconta gli ultimi come lui, in tutte le sue canzoni, farlo stentando parole in un documentario diventa superfluo, oltre che estremamente noioso. E dire che la prima esperienza sulle piattaforme, proprio per Ultimo, non era stata felicissima, con il live sempre su Prime, andato in scena – si fa davvero per dire – nell’aprile del 2021, in sostituzione dei tanti concerti negli stadi bloccati dal Covid, concerto che in pochi hanno visto in diretta, lui da solo al Colosseo, visto che le troppe connessioni hanno bloccato lo streaming, e che comunque, per essere un regalo ai fan lasciati a bocca asciutta, aveva comunque un biglietto da pagare, biglietto che a molti è risultato amaro, proprio per il down che Prime ha mandato in onda.

Ultimo se ha una urgenza da dire la dice senza filtri, di solito…
Poi, che Ultimo sia riuscito a sopravvivere a questi due anni pandemici – parlo della sua carriera, ovviamente – gli va tributato come merito, perché aveva un pubblico anche di ragazzine e ragazzini che nel mentre saranno passati a ascoltare giustamente altro: lui è stato bravo a trovarsi nuovi ascoltatori con le nuove canzoni, ma resta che l’operazione santino risulta stucchevole, un piagnisteo misto ad autocelebrazione di cui, onestamente, avremmo tutti fatto volentieri a meno. Mica vorrà essere solo lui, Ultimo, quello che se ha una urgenza da dire la dice senza filtri, come quando a Sanremo ha mandato a cagare tutta la Sala Stampa, rea di aver votato Mahmood invece che lui?