L’Ulivo, allargato alla versione dell’Unione, ha consegnato la seconda legislatura più breve della storia repubblicana, durata giusto due anni: dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008. Era la stagione del secondo governo Prodi, sostenuto da una coalizione che andava dal trotzkista Franco Turigliatto al democristiano Clemente Mastella. Il diavolo e l’acqua santa. È questo uno dei fotogrammi tramandati ai posteri dall’esperienza politica che ora, nonostante tutto, Enrico Letta, da segretario del Partito democratico, si ostina riproporre come schema vincente.

Il progetto di Letta per un centrosinistra allargato
Sull’onda del risultato alle Amministrative il leader dem sogna un nuovo Ulivo, per mettere insieme i liberaldemocratici di Azione! di Carlo Calenda, riannodando il dialogo con Italia viva di Matteo Renzi, e coinvolgendo tutta l’area a sinistra dei dem, da Articolo 1 di Roberto Speranza a Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. Con una special guest: il Movimento 5 stelle guidato da Giuseppe Conte.
Prodi e l’avventura con Ds e Margherita del 1995
È una specie di mantra, l’eterno ritorno di un progetto salvifico solo nell’immaginazione dei leader. È l’Ulivo, appunto, nato nel 1995 come la coalizione da affidare a Prodi. All’epoca mise insieme il Partito democratico della sinistra (Pds) e Partito popolare italiano (Ppi), che nel tempo si trasformarono in Ds e Margherita. Ma c’erano una miriade di formazioni politiche: i socialisti italiani di Enrico Boselli, i Verdi, il Patto Segni, i liberali di Valerio Zanone a cui si sono aggiunti nel tempo l’Udeur di Mastella, Rinnovamento italiano di Lamberto Dini e pure i comunisti italiani di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto, frutto di una scissione con Rifondazione comunista. L’Ulivo, presentato come una novità riuscì a vincere le elezioni del 1996, battendo il centrodestra grazie alla spaccatura tra il Polo delle libertà di Silvio Berlusconi e la Lega di Umberto Bossi. La mancanza dei voti del Carroccio al Nord fu decisiva. Il centrosinistra, nonostante il vantaggio offerto dalla divisione degli avversari, ottenne una maggioranza debole, con una manciata di seggi, garantita dall’appoggio esterno di Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti.

Un’idea nata fragile
Per capire gli umori del tempo, alla nascita del governo, L’Unità (organo del Pds) scrisse: «La sinistra non rinuncerà alla propria identità e continuerà l’alleanza con il centro. L’Ulivo non è e non sarà il contenitore al cui interno la sinistra si annulla». Non proprio una benedizione, così come non furono una carezza le parole di Franco Marini, all’epoca leader dei popolari, pronunciate nel castello di Gargonza, dove nel 1997 si ritrovarono i vari leader dell’alleanza: «L’Ulivo è una pianta che cresce piano piano, a volte servono decenni. Altrimenti arriva la gelata e muore». La fragilità del progetto si è palesata nell’alternanza di quattro governi, il primo di Prodi, i due di D’Alema e l’ultimo guidato da Amato, che con l’avvicinarsi delle elezioni in un’intervista al Financial Times, attaccò: «Il centrosinistra non riesce a dare un’immagine coesa». Nonostante l’Ulivo. Mancavano due mesi al voto del 2001, in cui la coalizione, affidata a Francesco Rutelli, uscì pesantemente sconfitta. Non fu sufficiente il patto di desistenza con il Prc (nei collegi uninominali) a evitare la débâcle dell’Ulivo. Al governo tornò Silvio Berlusconi, mentre il centrosinistra annaspava. Esemplare fu il voto in Aula per l’invio degli alpini in Afghanistan nel 2002. «L’Ulivo è in una crisi definitiva. Entro le prossime 48 ore serve una reazione forte e determinata che lo rilanci», affermò D’Alema. La buriana passò e nel 2004, sotto la spinta di Prodi, ci fu la lista Uniti nell’Ulivo alle Europee. La traversata nel deserto culminò nel ritorno ufficiale del Prof a capo dell’alleanza. Rutelli non la prese benissimo: «Ho mangiato pane e cicoria per costruire il centrosinistra e consegnarlo a Prodi», disse manifestando il suo malcontento e confermando le pesanti spaccature.
Nostalgia della «maggioranza sexy»
L’Ulivo presentò liste uniche anche nel 2006 mettendo insieme Ds e Margherita, all’interno della coalizione dell’Unione, che era una sorta di maxi-Ulivo. L’esito del voto si rivelò una vittoria di Pirro: alla fine di un lungo spoglio, il Professore ottenne una vittoria risicata e quindi una «maggioranza sexy» (copyright Prodi) di pochi senatori, tra cui il comunista Turigliatto, incubo del centrosinistra. Intanto l’esperienza ulivista era confluita nel Partito democratico, nato nell’ottobre del 2007. E di fatto la coalizione dell’Ulivo, così come nata 12 anni prima, non esisteva più. Il percorso politico dell’esecutivo è stato un calvario con numeri ballerini e la caduta il 24 gennaio 2008, a causa della mancata fiducia a Palazzo Madama. Decisivi furono i voti contrari dell’Udeur: così si chiuse la seconda legislatura più breve di sempre, l’ultima iniziata con il marchio dell’Ulivo. Ma la memoria italiana, si sa, gioca brutti scherzi e spesso è selettiva. Così l’Ulivo periodicamente viene riproposto come panacea di tutti i mali della sinistra. Lo ha fatto Nichi Vendola, poi Pier Luigi Bersani e infine Letta, ognuno con sfumature diverse. Immaginando un progetto vincente, che nei fatti non c’è mai stato anche per l’eccessiva litigiosità. E chissà come sarebbe con i 5 Stelle al suo interno.