L‘Ucraina degli ultimi 20 anni è sempre stata al centro dello scontro geopolitico tra Russia e Occidente, in bilico fra i vecchi legami con Mosca e i nuovi con Unione Europea e Nato. A seconda di chi comandava a Kyiv il pendolo si è spostato più verso Est o verso Ovest. Paradossalmente il momento in cui l’ex repubblica sovietica si è trovata più vicina all’Europa è stato sotto la presidenza russofila di Victor Yanukovich, presidente cleptocrate ed equilibrista che ha cercato di mantenere il piede in due scarpe, per poi cadere fragorosamente.
Il mancato accordo politico con l’Ue e lo scoppio delle proteste di Euromaidan
Nel marzo del 2012 veniva infatti parafata la parte economica dell’Accordo di associazione tra Ucraina e Ue, passo fondamentale di avvicinamento alle istituzioni europee non riuscito nemmeno al suo predecessore, il filoccidentale Victor Yushchenko, eroe della rivoluzione arancione del 2004. La sottoscrizione della parte politica era stata legata invece alla liberazione di Yulia Tymoshenko, ex premier finita in galera per abuso d’ufficio. Yanukovich fece orecchie da mercante alle richieste europee e l’Accordo come previsto saltò, facendo scoppiare a Kyiv le proteste di Euromaidan nel novembre del 2013 e portando al cambio di regime violento nel febbraio del 2014. Poi arrivarono l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass.

Gli sforzi di Zelensky gelati dall’invasione russa
L’Accordo di associazione entrò in vigore nel 2017, con il presidente-oligarca Petro Poroshenko, e solo cinque anni dopo, il 28 febbraio del 2022, quattro giorni dopo l’invasione ordinata da Vladimir Putin, il nuovo capo di stato ed ex comico Volodymyr Zelensky chiese per l’Ucraina lo status di candidato ufficiale per diventare membro dell’Unione, concesso nel giugno successivo. Oggi però la strada sembra ancora molto più lunga e tortuosa di quanto non lo fosse stata oltre un decennio fa, con il Paese devastato dalla guerra, occupato in parte dalla Russia e con i problemi di sempre al suo interno, aggravati appunto dal conflitto in corso.

La fragilità della democrazia ucraina: dallo strapotere delle oligarchie alla corruzione
Quando Zelensky ormai un anno fa ha chiesto ufficialmente l’ingresso, una serie di membri dell’Unione si è espressa subito, altrettanto ufficialmente, per la veloce adesione: le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Bulgaria e la Slovenia. La vecchia Europa, dall’Italia alla Germania, dalla Francia all’Austria, si è mantenuta più cauta. Per ovvie ragioni, pragmatiche, che al di là del conflitto in corso, vedono nell’Ucraina un paese di oltre 40 milioni di abitanti, con una democrazia fragile e un sistema economico ancora imperniato sull’oligarchia, corrotto fino al midollo (alla posizione numero 116 nella classifica del 2022 di Transparency International), il cui cui ingresso nell’Ue farebbe saltare gli equilibri già precari a Bruxelles. E proprio del processo di adesione si è parlato a Kyiv dove si sta tenendo un summit del collegio dei commissari Ue (ben 16) con il governo ucraino con la partecipazione della presidente Ursula von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Non a caso alla vigilia dell’arrivo della nutrita delegazione, nel corso di una maxi retata è stata perquisita la casa dell’oligarca Ihor Kolomoisky. Un segnale dell’impegno concreto di Kyiv a cui lo status di candidato evidentemente non basta più.
Together, we are bringing light to Ukraine!⁰
Ukrainians can exchange their old bulbs at the post office for energy-efficient LED bulbs.
The EU is gladly providing 35 million of them.
Every kW of energy saved is precious to counter Russia's energy war. pic.twitter.com/dkKpSRH6yv— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 3, 2023
La propaganda sull’ingresso di Kyiv nell’Unione e nella Nato
Se 11 anni fa c’era solo Tymoshenko dietro le sbarre a bloccare il cammino verso Bruxelles, oggi la guerra di cui non si vede la fine pare un ostacolo insormontabile, al di là della propaganda delle porte aperte, la stessa che a Kyiv si sente da decenni anche sulla questione parallela dell’ingresso nella Nato che vede gli stessi attori schierati sulle stesse posizioni. Sono i Paesi dell’Europa orientale, entrati meno di 20 anni fa sia nell’Unione che nell’Alleanza, a spingere perché l’Ucraina sia accolta sotto lo scudo atlantico. Il problema è che adesso è troppo tardi e né a Bruxelles né a Washington nessuno si sogna di prendere decisioni di questo genere con una guerra in corso. Da un pugno di lustri Kyiv viene tenuta nell’illusione di poter diventare a pieno titolo membro dell’Ue e della Nato, mentre in realtà all’interno delle istituzioni occidentali non c’è il consenso né nel merito né nella tempistica. L’incertezza, i dubbi, i dissensi che emergono regolarmente tra i vari Paesi, quelli della vecchia Europa e quelli della nuova, divenuti satelliti più di Washington che di Bruxelles, sono stati anche il pretesto per l’azione della Russia che ha sfruttato le ambiguità occidentali rispondendo a suo modo. Discettare di ingresso nell’Unione e nell’Alleanza senza parlare concretamente di modi e di tempi, cosa impossibile per altro con il conflitto in corso, vuol dire proseguire a lasciare l’Ucraina nel limbo: una posizione comunque utile per continuare a indebolire la Russia.