Non c’è solo il Pd alle prese con i dissidi interni sulla guerra in Ucraina. Anche la Lega non ha affatto una posizione granitica in merito al conflitto e all’invio delle armi. L’assenza iniziale di tutti i ministri leghisti, incluso lo stesso Matteo Salvini, ieri ai banchi del governo della Camera, mentre interveniva la premier Giorgia Meloni, è vero, si può ascrivere a tattica politica, soprattutto con la partita in corso per le nomine nelle partecipate di Stato che vede FdI sugli scudi e via Bellerio in pressing. E con altri dossier, tipo quello del Ponte sullo Stretto, diventato la principale bandiera del leghismo di stanza al Mit e tuttavia ancora fermo a una mera approvazione di facciata in Cdm, complici le perplessità dello stesso partito della presidente del Consiglio. Ma c’è di più.
La Lega tra residui di filo-russismo e sensibilità agli appelli di Francesco
In effetti, se l’operazione fosse stata solo strumentale, in perfetto stile ‘bastone e carota’, la vicenda si sarebbe esaurita nella dura replica (con tanto di no a una «una dolce tirannia del pensiero dominante») da parte del capogruppo del Carroccio al Senato Massimiliano Romeo, poi bilanciata dalla linea un po’ più morbida tenuta invece ieri a Montecitorio da Stefano Candiani («È importante che l’Italia sia protagonista e la nostra azione non sia sussidiaria alle scelte di altri Paesi», ha scandito il deputato all’indirizzo della premier). Ma non è andata così. Del resto, la partecipazione sempre mercoledì di Romeo a un convegno promosso dal comitato “Fermare la guerra” guidato dall’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno racconta ben altro. I più maligni, soprattutto tra le fila di FdI, rispolverano il «gemellaggio della Lega con il partito Russia unita». Una fonte parlamentare del Carroccio ribatte invece che «è riduttivo parlare sic et simpliciter di ‘filo-russismo’. C’è chi, infatti», spiega a Tag43, «chiede semplicemente di mostrare più autonomia rispetto alle scelte dell’Europa e chi è più sensibile agli appelli del Papa. Nel partito esiste diversità di vedute, tutto qui. Ne più e né meno di quanto accade nelle altre formazioni politiche». A essere maliziosi ci si potrebbe chiedere quale Papa visto che Salvini, ora fan di Francesco, nel 2016 rivendicava con orgoglio e tanto di magliette come il suo papa fosse Benedetto, tant’è.

Il fronte cattolico di Via Bellerio si scontra con quello più atlantista di Giorgetti
Volendo semplificare, insomma, anche a via Bellerio c’è un fronte cattolico accanto a un fronte più interventista. Il primo annovera, naturalmente, big della Lega quali appunto Romeo o il presidente della Camera Lorenzo Fontana. «Ma ci sono anche altri parlamentari», raccontano fonti leghiste, «come Paolo Tosato o Edoardo Ziello». Senza dimenticare che lo stesso leader della Lega, per il quale ogni occasione è buona per brandire un rosario, non si trova affatto a disagio tra chi spinge per cessate il fuoco e tavoli della pace. A capeggiare il fronte più atlantista, manco a dirlo, c’è il numero due di via Bellerio Giancarlo Giorgetti. La posizione del ministro dell’Economia, in realtà, è arcinota dai tempi del governo precedente, quando era in perfetta sintonia con la linea draghiana di politica estera. «Un super convinto atlantista», confermano a Tag43, «senza dubbio è Paolo Formentini, vicepresidente della commissione Affari Esteri della Camera. Tra l’altro la carica più alta che abbiamo come partito in questo campo». E a quanto pare sulla stessa linea sono anche suoi colleghi di commissione, «da Antonio Angelucci a Simone Billi e Andrea Crippa». Un fronte sicuramente più ampio che va dallo stesso Candiani fino al deputato e tesoriere Giulio Centemero.

Quella casella degli Esteri ancora scoperta nel Carroccio
Un Carroccio in ordine sparso, insomma. Con buona pace della disciplina di partito. «Quando vengono prese delle decisioni, si sa, siamo sempre compatti. È vero però», ammette un esponente di primo piano del Carroccio, «che sugli esteri in generale non ci abbiamo puntato. Il filone principale per noi resta quello economico, non a caso esprimiamo il titolare del Mef». E in effetti pare proprio così anche guardando l’organigramma della Lega. Sul sito ufficiale del partito il dipartimento Esteri, infatti, è ancora affidato a Lorenzo Fontana, attuale presidente della Camera e in quanto tale figura istituzionale super partes. Formalmente, è una sgrammaticatura istituzionale, anche se dal partito ridimensionano la questione: «Non c’è nessuna dietrologia da fare. La casella è vacante, è vero. E non si sta ancora ragionando su dei nomi. Ma solo perché siamo stati assorbiti da altre priorità».