La settimana di colloqui tra Russia e Stati Uniti con al centro la questione ucraina non ha portato sostanzialmente a nulla. Le posizioni, dopo gli incontri a Ginevra, Bruxelles e Vienna, sono rimaste le stesse: da una parte Mosca continua a mantenere la pressione militare vicino al confine con l’ex repubblica sovietica e si lascia ogni opzione aperta dopo che, come era evidente, non ha ricevuto risposte concrete alle domande sul compromesso con la Nato per il blocco dell’espansione a Est; dall’altro Washington non ha nessuna intenzione di scendere a patti e cedere di fronte a una prova di forza che non è giudicata comunque un bluff.
Esclusa l’ipotesi di una invasione russa su larga scala
Gli spazi della diplomazia si stanno pericolosamente restringendo e tutto sembra appeso alla volontà di Vladimir Putin che potrebbe decidere di avviare un’operazione in Ucraina. Se da tutti i lati viene esclusa un’invasione su larga scala con i tank russi in Piazza dell’indipendenza a Kiev, più realistiche sarebbero invece azioni mirate con l’occupazione di altri territori del Sud-est ucraino, tra il Donbass e la Crimea. Cremlino e Casa Bianca hanno però ancora la possibilità di trovare una soluzione, stendendo una sorta di road map, al meglio dettagliata, per evitare che una nuova guerra si scateni nel cuore dell’Europa.

Le difficoltà del presidente ucraino Volodymyr Zelensky
Paradossalmente, nonostante il quadro di estrema tensione tra Russia e Stati Uniti, in Ucraina i venti di guerra non sembrano allarmare troppo. Il presidente Volodymyr Zelensky ha passato le vacanze a Bukovel, località sciistica nell’ovest del Paese, e pare più occupato nel duello politico-giudiziario con il suo predecessore Petro Poroshenko che non in quello per la sorte della nazione. Il capo di Stato, ormai al giro di boa del terzo anno alla Bankova, è in estrema difficoltà sul lato interno, nonostante la maggioranza governativa e quella parlamentare. Sono lontani i tempi, quelli della primavera del 2019, in cui era visto come il salvatore della patria, eletto a furor di popolo dietro la promesse di vere riforme, lotta alla corruzione e soprattutto pacificazione nel Donbass.
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All’inizio di questo 2022 la guerra incombe più che mai, la corruzione secondo Transparency è aumentata, le riforme sono al palo, tanto che anche il Fondo monetario internazionale ha dovuto bloccare temporaneamente il programma di aiuti, ripreso da poche settimane, e il sistema di potere oligarchico che dalla fine dell’Unione sovietica ha dominato la politica e l’economia è ancora in piedi. Zelensky ha tentato di dare qualche picconata, ma ne è uscito lo stesso maldestro errore fatto dai suoi predecessori che hanno tentato di usare la giustizia per eliminare gli avversari politici.

La resa dei conti politica con Poroshenko accusato di alto tradimento
È il caso appunto di Petro Poroshenko, uno degli oligarchi più potenti, eletto anche lui in maniera trionfale dopo il cambio di regime del 2014, e costretto all’opposizione dopo cinque anni alla Bankova. Adesso è accusato di alto tradimento per aver fatto affari con i separatisti del Donbass, i suoi asset sono stati congelati e al suo ritorno a Kiev la prossima settimana dalla Polonia lo aspettano le manette. È uno schema già visto più volte negli ultimi 30 anni, con tutti i maggiori protagonisti della politica ucraina, dal presidente Leonid Kuchma alla premier Yulia Tymoshenko, passando ovviamente anche per Victor Yanukovich: è la giustizia selettiva che va a colpire mirata e a orologeria, nel momento del bisogno per chi tira le redini dal sedile più alto.

Gli ultimi mesi della presidenza Zelensky, dopo che già dall’inizio del 2021 il presidente e i falchi a Kiev avevano deciso di alzare il tono del confronto con Mosca usando la mano pesante nei confronti dell’opposizione filorussa, sono stati dedicati alla resa dei conti con Poroshenko, giudicato il maggior ostacolo in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Il problema di fondo è però che, come ha dimostrato la storia dell’Ucraina degli scorsi tre decenni, non basta mandare dietro le sbarre o in esilio un oligarca, quando i poteri forti rimangono comunque a dettare legge. Di fronte alle faide interne ucraine i nuovi protettori di Kiev, ossia dal 2014 Stati Uniti e Unione europea, si comportano esattamente come ha fatto la Russia prima, voltando la faccia e permettendo quasi tutto, a patto che non si rovescino un’altra volta gli equilibri. Quelli che Putin vuole invece ribaltare con la forza.