Dopo l’ufficialità dell’esclusione dei tennisti russi e bielorussi dal torneo di Wimbledon, il mondo si divide tra chi applaude la scelta degli organizzatori e chi li accusa, con polemiche più o meno aspre. E tra questi ultimi c’è anche Novak Djokovic. Il numero uno al mondo, che di esclusioni se ne intende dopo il caos dei mesi scorsi e la vicenda degli Australian Open, ha preso posizione difendendo i colleghi, tra cui anche Daniil Medvedev, al secondo posto nel ranking mondiale. Il serbo ha parlato della vicenda dopo aver battuto Laslo Djere a Belgrado ieri sera. Ha voluto sottolineare che conosce bene sia la guerra, per quanto accaduto nel suo Paese negli anni ’90, sia Wimbledon, dove ha trionfato sei volte.

Djokovic attacca: «La decisione di Wimbledon è folle»
Nonostante il profondo legame che lo lega allo Slam di Wimbledon, Novak Djokovic imputa agli organizzatori un clamoroso errore. Una discriminazione, secondo lui, quella che si sta perpetrando ai danni degli atleti russi e bielorussi. «Condannerò sempre la guerra, non la sosterrò mai essendo io stesso figlio della guerra», ha raccontato, «so il trauma emotivo che lascia, tutti sappiamo cosa è successo in Serbia nel 1999. Nella storia recente nei Balcani abbiamo avuto molte guerre. Tuttavia, non posso sostenere la decisione di Wimbledon, penso sia folle. Quando la politica interferisce con lo sport, il risultato non è mai buono». Un riferimento velato, forse, anche alle questioni politiche che lo hanno visto protagonista nei mesi scorsi, con l’esclusione dagli Australian Open – e non solo – per non aver voluto ricevere alcun vaccino anti Covid.
Wta e Atp parlano di discriminazione
Contro Wimbledon si sono schierate anche la Wta e l’Atp, le due associazioni che riuniscono tenniste e tennisti di tutto il pianeta. La loro posizione è praticamente identica a quella di Djokovic: «La discriminazione basata sulla nazionalità costituisce una violazione del nostro accordo con Wimbledon, che prevede che ogni giocatore entra nel torneo sulla base esclusiva del ranking».
