Guerra in Ucraina: le responsabilità dell’Occidente
Davanti a una guerra annunciata e descritta nei minimi dettagli, l'Occidente ha preferito credere alle bugie di Putin rispondendo tardi e in modo asimmetrico. Il conflitto poteva essere evitato. E tutti gli attori in causa hanno una fetta di responsabilità.
E guerra fu, con l’inesorabile strascico di vittime e distruzioni. L’aspettavamo? No, non volevamo aspettarla, volevamo evitarla, ma alla fine, lo spettro della guerra che dal dicembre scorso era stata progressivamente ipotizzata, annunciata, minacciata, e infine precisata sin nelle ore di svolgimento si è materializzato poco prima dell’alba del 24 febbraio dopo un nuovo intervento televisivo di Putin che aveva tutte le caratteristiche linguistiche e di sostanza di un ordito minuziosamente pianificato. In anticipo, da sperimentato giocatore di scacchi. Con un obiettivo ancora non del tutto chiaro se non quello della disarticolazione delle capacità belliche dell’Ucraina e del controllo del Donbass, nella sua interezza o in quella già occupata dagli indipendentisti e, poche ore prima, riconosciuta nella sua “indipendenza”.

L’Occidente ha reagito con ritardo e asimmetria
L’Occidente ha reagito con un singolare ritardo e con un’altrettanto singolare asimmetria: ritardo perché se era così certo che Putin avrebbe attaccato lo si poteva forse prevenire con adeguata tempestività, con fatti e non a parole, quantunque minacciose. Con singolare asimmetria perché appare piuttosto evidente che vi è una radicale differenza tra una risposta militare o anche militare a un attacco bellico dato per scontato e per giunta di massicce proporzioni e una risposta che, escludendo ufficialmente qualsivoglia operazione militare risultava e risulta meramente economica, commerciale e finanziaria. Risposta che per quanto dura e dichiaratamente – di fatto, almeno finora – ben limitatamente devastante e comunque tale da dover essere verificata nelle sue reali ripercussioni in un contesto internazionale nel quale l’egemonia occidentale è sfidata apertamente dalla Cina e non solo.
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Con la Russia non si può invocare una soluzione diplomatica in astratto
Si tratta di una differenza che ci pone un interrogativo d’obbligo e cioè se si sia fatto tutto il necessario per evitare che la situazione precipitasse in questa aggressione militare, certamente illegittima, certamente da condannare, ma prevedibile e del resto ampiamente prevista. Tanto più sulla scorta di una pluridecennale esperienza delle sue modalità di esercizio del potere, in casa e all’estero e di quanto andava ribadendo da tempo sulla Nato e sul Donbass. Adesso a attacco iniziato, leggo deprecazioni a tutto spiano. Le condivido pienamente, intendiamoci, ma mi appaiono quanto meno tardive e comunque dal sapore vagamente ipocrita, così come leggo di persistenti aspettative in una ancora possibile salvifica azione diplomatica, così in astratto, senza alcuna indicazione circa la latitudine del compromesso cui l’Occidente potrebbe accedere, del “do ut des” cioè proponibile a Putin per fermare la guerra.

La Nato è diventata attore centrale e l’Ue seppur divisa si è allineata a Washington
Ma facciamo un passo indietro cercando di mettere a fuoco le due principali letture delle responsabilità chiamate in causa. Da un lato abbiamo avuto un fine anno e un inizio 2022 segnati dal già richiamato allarme ripetutamente suonato da Washington circa la scontata “invasione” dell’Ucraina da parte della Russia di Putin; allarme accompagnato da una crescente dovizia di dettagli sulla sua preparazione e sul suo svolgimento da parte di coloro che di norma non divulgano perché provenienti dai servizi segreti, in questo caso quelli americani. Con una Nato che invece di defilarsi e lasciare il campo alla politica ha assunto un ruolo di attore fondamentale. E con un’Unione europea che ha avuto nella Presidenza di turno francese e in parte nella Presidenza della Commissione un approccio che si è andato progressivamente allineando a quello d’oltre Atlantico pur in presenza di una sostanziale divisione interna sulla portata della risposta da riservare al probabile/certo aggressore russo: risposta dura e comunque tale da far rimpiangere alla Russia la sua aggressione; ma recapitata tardi e lacunosa (Swift e Gas) oltre che non proporzionale alla conclamata violazione del diritto internazionale e della sovranità e integrità del territorio ucraino.
Le bugie di Putin e il mancato rispetto degli Accordi di Minsk da parte di Kiev
Dall’altro lato abbiamo avuto una ripetitiva e quasi annoiata negazione da parte russa di qualsivoglia intenzione di invadere l’Ucraina e la riconduzione a una semplice e comunque legittima esercitazione militare la cui consistenza in uomini e mezzi vistosamente assiepati vicino al confine con l’Ucraina sarebbe parsa esageratamente massiccia e forse minacciosa, anche al più innocente osservatore. Una bugia la cui evidenza trovava riscontro nella ripresa di fiato, ammesso che si fosse mai acquietata, del conflitto che agita carsicamente il Donbass da almeno otto anni (e ben 14 mila morti) e che certo chiama in causa la mancata applicazione da parte di Kiev del Protocollo di Minsk del 2015, firmato dalla stessa Ucraina, da Mosca, Francia e Germania, che stabiliva (stabilisce) l’attribuzione di una speciale autonomia al Donbass, notoriamente russofono e russofilo nella sua gran parte.

La trentennale contrarietà di Mosca a un allargamento a Est dell’Alleanza Atlantica
Mancata applicazione che non si può non collegare a un altro antico motivo di dissidio: l’ormai trentennale, manifesta contrarietà di Mosca alla continua espansione a Oriente della Nato di cui l’Ucraina è l’ultimo e più eclatante esempio. Valga in proposito ricordare che all’indomani del dissolvimento dell’Unione sovietica – e lo scioglimento del Patto di Varsavia – Mosca fece chiaramente presente che l’espansione della Nato a Est sarebbe stata considerata una minaccia ricevendo assicurazioni in proposito, come documentato, da ultimo, dal settimanale tedesco Der Spiegel. Sappiamo come è andata in quesi decenni così come sapevamo della nevralgica rilevanza, al riguardo, dell’Ucraina. Lo ha compreso molto bene il cancelliere tedesco Olaf Scholz quando ha laconicamente ma efficacemente affermato che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non era e non è in agenda. E non sfuggirà che un conto è aver diritto a chiedere l’ammissione e un altro è essere ammesso, come dimostra il caso della richiesta della Turchia di entrare nell’Unione europea.

Le sanzioni rischiano solo di essere un pericoloso alibi per L’Occidente
Mosca ha chiesto e chiede che si concordi su una nuova architettura della sicurezza europea che superi la Nato, istituzione di fatto divenuta baluardo di difesa militare dell’Occidente avverso l’Unione sovietica prima e la Russia poi. La risposta dell’Occidente è stata finora ben diversa come sappiamo e come qualsiasi cartina geopolitica mostra con tutta chiarezza. E ora abbiamo la guerra. In Europa. Putin è l’aggressore, senza alcun dubbio, ma la mannaia delle sanzioni rischia di risultare un rischioso alibi soprattutto se non si lavorerà sulla timida ma nevralgica apertura in chiave neutralistica di Zelensky.