Niente invasione. Almeno per ora. E su questo gli analisti più equilibrati sono sempre stati d‘accordo, lasciando alla propaganda politica e mediatica il ruolo di intorpidire le acque. Acque che, però, non sono certo cristalline. Escluso il conflitto su larga scala e messo fine alla farsa delle date dell’attacco e dei nomi di improbabili premier in altrettanto fantapolitici governi filo-russi a Kiev, i problemi di ieri rimangono quelli di oggi e di domani, al di là di una parziale smobilitazione russa dal confine ucraino e delle solite dichiarazioni diplomatiche da ogni angolo sulle porte aperte per il dialogo.
La crisi nel Donbass resta aperta
La crisi nel Donbass è ancora tutta da risolvere e con essa quella della ristrutturazione del sistema europeo di sicurezza imposta nell’agenda dalla Russia con minacce e giochi di guerra. Lo si è capito bene ieri a Mosca, durante la conferenza stampa tra Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, l’ultimo incontro di una serie che in queste settimane ha visto protagonisti anche il presidente francese Emmanuel Macron, quello ucraino Voldymyr Zelensky e quello statunitense Joe Biden, che ancora ieri sera ha ricordato come un’invasione russa sia sempre possibile.

Il dossier Ucraina è legato a quello sulle sfere di influenza in Europa
I due dossier, Ucraina e sfere di influenza in Europa, sono distinti, ma vanno di pari passo, poiché l’ingresso dell’ex repubblica sovietica nella Nato, e il conseguente rimodellamento degli equilibri continentali è uno di quei nodi che il Cremlino vuole sciogliere in fretta. Putin ha detto che lo spazio per il dialogo c’è, ma si deve trattare su tutto, partendo da quelle che Mosca considera urgenze e per le quali non è più disposta ad attendere. L’opzione militare non è insomma attuale, ma non è detto che non possa diventarlo, al di là della forma che potrebbe assumere. Di fronte a Scholz, il presidente russo ha ricordato che la guerra vera e propria si già vista in Europa negli Anni 90, con l’intervento della Nato nei Balcani senza nemmeno l’appoggio delle Nazioni Unite. E anche se il cancelliere tedesco ha tentato di distinguere le due situazioni, Putin rilanciando la versione propagandista del genocidio del Donbass ha fatto capire di considerare ancora un’operazione militare nel Sud-est dell’Ucraina a difesa delle popolazioni russofone nel ventaglio delle possibilità sul tavolo.

Mosca chiede la garanzia che l’Ucraina non entri nella Nato
Al tavolo delle trattative bisogna dunque sedersi e il calcolo del Cremlino è che i giochi muscolari lungo il confine ucraino possano aiutare a portare a casa la garanzia del non ingresso dell’Ucraina nella Nato, nero su bianco. Putin ha affermato che non si accontenterà di promesse o vie di mezzo, come una moratoria: la sicurezza russa futura passa attraverso l’Ucraina e la sua non appartenenza all’Alleanza Atlantica. Che può essere decisa a Kiev, con un atto di neutralità, già per altro fatto nel 2010 sotto Victor Yanukovich con il cambio della Costituzione (e ribaltato dopo il cambio di regime nel 2014), o anche in sede Nato, con la decisione di non accogliere più membri. Per Mosca la teoria transatlantica della porte aperte e della libertà di un Paese di scegliere da che parte stare è facilmente superabile.

Il rilancio degli Accordi di Minsk e il ruolo di Francia e Germania
Il punto di partenza per le prossime trattative è in ogni caso il Donbass, tra una de-escalation annunciata e il rilancio degli Accordi di Minsk siglati nel 2015 che negli ultimi giorni dopo i colloqui a Mosca e Kiev di Macron e Scholz ha preso consistenza. Francia e Germania, garanti nel quartetto normanno, hanno ottenuto da Zelensky l’assicurazione che Kiev farà la sua parte nell’implementazione del patto, soprattutto per quel concerne le leggi sull’autonomia del Donbass, la decentralizzazione e le elezioni locali. Per il presidente ucraino e per il suo governo, che ha comunque la maggioranza assoluta in parlamento, si tratta di un passo che potrebbe essere decisivo per il processo di pace, se accompagnato ovviamente dalla volontà dall’altra parte del fronte di sbloccare lo stallo che prima di tutto è militare. Uno dei punti fondamentali degli accordi Minsk, prima ancora delle questioni su dialogo diretto tra centro e periferia e autonomia, è il ritiro delle armi dalle linea del fronte. Le prossime mosse, concrete, le devono fare quindi i rappresentanti del gruppo di contatti trilaterale (Ucraina, Russia e Osce, Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo in Europa) che dal 2014 si occupa del processo di pacificazione nel Sud-est ucraino.