Due anni fa, alla fine di aprile del 2019, era stato eletto in maniera trionfale. Petro Poroshenko, il presidente insediatosi nel 2014 appena dopo il cambio di regime a Kiev e l’avvio della guerra nel Donbass, era stato spazzato via senza troppi complimenti e rimpianti, travolto dall’ondata di quello che sembrava il salvatore della patria e invece si è rivelato il più classico dei populisti, nemmeno tanto “gentile”, come qualche osservatore un po’ troppo ottimista l’aveva definito all’inizio della sua carriera politica: Volodymyr Zelensky, giunto alla politica dal cabaret televisivo, protagonista di una serie (Servitore del popolo) in cui recitava la parte di un capo di Stato sui generis, è naufragato alla prova dei fatti.
Zelensky tra crisi politica e nuovi venti di guerra
Non lo dicono solo i rating, che sono scesi impietosamente verso il basso, o le difficoltà in parlamento, proprio nel suo partito (Servitore del Popolo) che aveva conquistato nell’autunno di due anni fa la maggioranza assoluta: l’Ucraina non si è ancora stabilizzata, né politicamente, né economicamente, con tanto di programma di aiuti del Fondo monetario congelato perché a Kiev si rifiutano di fare le riforme che dovrebbero. Il Paese annaspa per la crisi pandemica che nemmeno il vaccino cinese sta aiutando a tenere sotto controllo e soprattutto il conflitto nel Sud-est è sempre in corso, prosegue sottotraccia a corrente alternata, risvegliatosi proprio nelle ultime settimane con le massicce esercitazioni militari russe al confine che hanno fatto pensare a una possibile offensiva nel Donbass, magari per allargarsi fino a Odessa o alla Transnistria, buco nero nel cuore dell’Europa controllato dal Cremlino.

Il Braccio di ferro tra Mosca e l’Occidente
I wargame di Vladimir Putin hanno però solo voluto dimostrare, a Zelensky e ai suoi partner occidentali, Joe Biden in prima fila, che la Russia non ha nessuna intenzione di scendere a patti, anzi la questione dell’ex repubblica sovietica è fondamentale, anche nel gioco degli equilibri sulla scacchiera che vede di fronte Mosca e Washington dalla Siria alla Libia, dal Mediterraneo al Caucaso e all’Asia centrale. Il presidente ucraino era stato eletto con la promessa di mettere la parola fine alla guerra, la stessa che aveva fatto Poroshenko, ed entrambi si sono dovuti schiantare sul muro della realtà.
Dopo aver cercato il compromesso con la Russia e aver capito che Putin non ha nessuna intenzione di farselo dettare da Kiev, Zelensky ha iniziato da qualche mese a giocare al rialzo, cercando la contrapposizione con il Cremlino e i suoi alleati in Ucraina. Il partito filorusso, in ascesa nei sondaggi anche in reazione ai fallimenti del governo, è stato preso di mira, esattamente come Victor Medvedchuk, oligarca amico di Putin, messo sotto pressione con dure sanzioni economiche e congelamento di asset. Senza contare il problema dell’acqua in Crimea: nella penisola annessa dalla Russia nel 2014 dopo il colpo di stato a Kiev non ne arriva un goccio, bloccata alle fonti, e il governo Zelensky non pare aver intenzione di cambiare la linea adottata dal suo predecessore. Poroshenko aveva dovuto firmare, con la mediazione di Germania e Francia, gli accordi di Minsk nel 2015: mai messi in atto, metterebbero l’Ucraina in difficoltà maggiore di quella odierna ed è per questo che Zelensky vorrebbe cambiarli. Vorrebbe far entrare in gioco gli Stati Uniti, ma Berlino e Parigi frenano.

Kiev e la tentazione atlantica
Dall’altra parte Putin non cede, il suo obiettivo è quello di mantenere instabile l’Ucraina, mantenerla ancora in bilico, evitare che finisca nella Nato. E più Kiev spinge in questa direzione, più gli attori legati agli Stati Uniti premono per il processo di avvicinamento all’Alleanza Atlantica, più si alza il rischio di un’escalation militare che laceri ancora di più il Paese. Dopo due anni alla Bankova, Zelensky, complice il cambio della guardia alla Casa Bianca, ha imboccato una strada pericolosa, anche perché molti dei poteri forti che prima lo avevano sostenuto non hanno nessun interesse a seguirlo solo per mantenerlo in sella a fondo perduto. Il sistema oligarchico che il capo di Stato aveva annunciato di voler smantellare è ancora lì, con la differenza che il baricentro è ora un po’ più spostato verso Occidente e non più verso la Russia. L’Ucraina rimane spaccata, al di là della Crimea e del Donbass, e Zelensky in questi due anni non è riuscito a ricucire gli strappi. Anzi.