Continua il lavoro della diplomazia per evitare una nuova escalation in Ucraina. I colloqui di Ginevra venerdì tra il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sono stati una tappa interlocutoria e le posizioni rimangono sostanzialmente le stesse: la Russia è sempre in attesa di una risposta nero su bianco alle richieste di stop all’allargamento della Nato e gli Usa hanno ribadito che reagiranno a qualsiasi aggressione a Kiev.
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L’arrivo di armi Nato in Ucraina spacca l’Alleanza Atlantica
Blinken ha comunque fatto sapere che a Washington stanno lavorando per fornire responsi scritti su cui potere dialogare. È questo insomma il risultato di due settimane di colloqui incrociati con il contorno di giochi militari su mezzo continente: i canali di comunicazione rimangono aperti e si cerca in apparenza una soluzione condivisa. Intanto però a Kiev stanno arrivando armi da Paesi Nato, in previsione di un attacco imminente che Washington ritiene ancora possibile. Mosca da parte sua ha negato una futura invasione e ha criticato le forniture all’Ucraina, sostenendo che non contribuiscono certo alla de-escalation. E proprio su questo tema anche all’interno dell’Alleanza atlantica non sono tutti d’accordo. C’è infatti una linea invisibile, ma che esiste: è quella che divide i Paesi che sostengono militarmente l’Ucraina e che hanno già mandato a Kiev nel corso di questi anni, a partire dall’inizio della guerra nel 2014, uomini e materiale bellico a sostegno logistico e tattico, e quelli che invece hanno mantenuto un atteggiamento più cauto, moderato, prediligendo l’approccio del dialogo. Da una parte quindi gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada e anche la Turchia, i Paesi Baltici e la Polonia; dall’altra la Germania e la Francia, ma anche l’Italia, che tradizionalmente ha sempre avuto rapporti buoni con la Russia, prima di Boris Yeltsin e poi di Vladimir Putin, costruiti sull’eredità di quelli altrettanti buoni con l’Unione Sovietica.

L’asse dei ‘falchi’: Paesi baltici, Regno Unito, Canada, Polonia, Turchia e Usa
Alla vigilia dell’incontro di venerdì tra Blinken e Lavrov, Washington ha dato il via libera a Estonia, Lettonia e Lituania per girare in Ucraina armi del contingente Nato; in settimana sono arrivati nel Donbass 2000 razzi anticarro inviati da Londra, che alla fine dello scorso anno aveva già fatto arrivare nel porto di Odessa due navette per la pattuglia del Mar Nero. Canada e Polonia sono da sempre presenti con consiglieri militari in divisa Nato, la Turchia ha venduto droni da combattimento, entrati in azione un paio di mesi fa sulla linea del fronte, scatenando le proteste russe. Gli Stati Uniti ovviamente sono in prima fila con gli anticarro Javelin e hanno dispiegato pure advisor e agenti della Cia per un’eventuale guerriglia nel caso di invasione russa.
La cautela di Francia e Germania: in ballo ci sono il gas russo e lo Swift
Dall’altra parte c’è invece chi non vuole un confronto troppo diretto e preferisce rimanere a margine. Germania e Francia sono impegnate nel processo di pace, nel cosiddetto quartetto normanno (del quale fanno parte anche Russia e Ucraina) che monitora il processo di pace nel Donbass e gli accordi di Minsk, e hanno rifiutato un coinvolgimento sul campo. Giovedì all’appello della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock sull’importanza del dialogo ha fatto eco il presidente francese Emmanuel Macron che ha evidenziato come l’Europa debba trattare con la Russia indipendentemente dagli Stati Uniti. Gli interessi sono diversi, non solo all’interno della Nato, ma proprio dentro l’Unione europea. L’approccio tedesco e francese è sempre stato più pragmatico, guidato dagli interessi comuni con la Russia, in primo luogo quelli energetici. Germania e Francia sono ancora molto caute sulle eventuali sanzioni, vanno ancora coi piedi di piombo sia per quel riguarda il blocco di Nord Stream, il gasdotto sotto il Baltico che unisce Russia e Germania, sia sull’esclusione di Mosca dallo Swift, il sistema internazionale dei pagamenti. Sarebbero due mosse suicide dato che, da un lato, senza il gas russo l’Europa avrebbe enormi problemi di approvvigionamento e dall’altro l’integrazione russa non è facile da bloccare senza far pagare un prezzo altrettanto caro alle proprie economie, senza contare l’accelerazione che una mossa del genere darebbe alla creazione di un sistema alternativo, già avviato tra Mosca e Pechino.

Le divisioni all’interno della Nato rafforzano il Cremlino
Sul versante opposto Polonia e Paesi baltici seguono invece il vento che soffia a Washington che dal punto di vista geopolitico vedono come un punto di riferimento più di Berlino, Parigi o Bruxelles. Alla fine però queste divisioni non fanno altro che rafforzare la posizione del Cremlino, che pare avere sempre il coltello dalla parte del manico e per la fine di gennaio e febbraio ha ordinato una serie di manovre militari dal Mar Mediterraneo all’Oceano Pacifico.