Come il suo predecessore Petro Poroshenko, anche Volodymyr Zelensky combatte su due fronti. Il primo è quello militare in senso stretto: l’invasione russa su larga scala è scattata il 24 febbraio scorso, ma il conflitto nel Donbass si è aperto nell’aprile del 2014, quando Kyiv ha avviato la cosiddetta Ato (Operazione antiterrorismo) per riportare sotto il proprio controllo le sedicenti repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk. Il secondo è quello politico interno. Poroshenko aveva dovuto affrontare da un lato la guerra, dall’altro gli scenari post Euromaidan, la rivoluzione che aveva deposto il presidente Victor Yanukovich, emarginato i poteri forti filorussi e lasciato però in campo tutti gli altri.

Dopo cinque anni alla Bankova (2014-2019), Poroshenko aveva dovuto lasciare il potere, costretto alla resa politica da Zelensky, il coniglio estratto proprio dal cilindro del sistema oligarchico sempre in piedi, guidato in questa operazione direttamente da Igor Kolomoisky, in quel momento il più illustre degli avversari di Poroshenko a volersi esporre direttamente. Zelensky appena eletto si è trovato la strada spianata da un sostegno popolare incondizionato, impostato anche sulla promessa di terminare il duello in corso con la Russia, e da quello di un sistema di potere a cui bastava al momento aver messo il guinzaglio a Poroshenko. Il secondo fronte, quello politico interno, è però sempre rimasto aperto: così il nuovo capo di Stato ha cercato di mettere a freno gli appetiti degli oligarchi con nuove leggi ad hoc e non disdegnando l’antico metodo della giustizia selettiva, quello con cui il potere politico si serve di quello giudiziario per silenziare gli avversari più scomodi. Dopo aver preso di mira lo stesso Kolomoisky e anche Poroshenko, l’invasione russa del 2022 ha riportato però quiete, con le alleanze ricomposte in nome della lotta contro il Cremlino.

La raffica di dimissioni e licenziamenti dopo gli scandali di corruzione
Dopo un anno di guerra, però, i fragili equilibri hanno di nuovo cominciato a scricchiolare, come hanno dimostrato bene gli eventi delle ultime settimane, con la serie di dimissioni e licenziamenti nel governo, nell’amministrazione, nei servizi segreti e nelle grandi aziende pubbliche. Da un lato, soprattutto per quel riguarda gli scandali di corruzione, si è trattato di segnali che l’Ucraina ha voluto, e in quale modo dovuto dare – se si sta alla versione secondo cui sarebbero stati gli input di qualche cancelleria occidentale a far emergere i casi di malaffare – per dimostrare ai partner europei e statunitensi che i vizi passati lo sono veramente; dall’altro la girandola di poltrone e di teste cadute è il sintomo di un rimescolamento delle forze interne, con Zelensky sotto attacco.

Reznikov verso le dimissioni, nel mirino entra il premier Denis Shmyhal
Il cerchio magico del presidente e il governo del premier Denis Shmyhal stanno continuano a perdere pezzi, mostrando una debolezza intrinseca che l’intensità della guerra e della propaganda mantiene ancora abbastanza lontano dai riflettori. Secondo le indiscrezioni di questi giorni il ministro della Difesa Oleksii Reznikov sarebbe pronto a lasciare l’incarico. Al suo posto arriverebbe il capo dell’Sbu, i servizi segreti, Kirilo Budanov, sostituito a sua volta da Vasyl Maliuk. Un possibile rimpasto che indica come i falchi tra intelligence e forze armate stiano avendo la meglio. Uno dei prossimi obiettivi sarebbe proprio Shmyhal, già avvertito, per così dire, dal siluramento del suo fedelissimo Valery Lozinsky, viceministro alle Infrastrutture coinvolto in casi di corruzione, o presunta tale.
Holding the line.
Thank you all for your support, as well as constructive criticism. We draw conclusions.
We continue the reforms. Even during the war.
We are strengthening the defense and working for victory.
Glory to Ukraine!— Oleksii Reznikov (@oleksiireznikov) February 7, 2023
La militarizzazione dei ministeri chiave
Budanov, ma in lizza c’è anche il capo delle forze armate, il generale Valery Zaluzhny, sarebbe così il quarto ministro della Difesa sotto la presidenza di Zelensky, il secondo da quando è iniziata la guerra. Reznikov era entrato nell’occhio del ciclone dopo le accuse di corruzione che sono piombate sul ministero un paio di settimane fa, ma la sua posizione era già in bilico: giurista di formazione, fedelissimo del capo dello Stato, si è trovato a gestire l’invasione russa quasi all’improvviso. È evidente a questo punto la militarizzazione dei ministeri chiave, con Igor Klymenko, ex capo delle polizia e militare in carriera, nominato al ministero degli Interni dopo la morte di Denis Monastyrsky in un incidente in elicottero lo scorso 18 gennaio. Cambiamenti che avvengono in un momento delicato del conflitto: le forze ucraine sono in attesa della nuova offensiva prevista per fine mese e le nuove forniture di armi occidentali, i carri armati Leopard e Abrams, giungeranno in gran quantità solo a fine marzo.
