Manca poco al summit di Kyiv tra Unione europea e Ucraina, in programma venerdì 3 febbraio, nel corso del quale Volodymyr Zelensky incontrerà Ursula von der Leyen e Charles Michel per discutere di sostegno finanziario e militare europeo: da una parte l’invio di armi adeguate di attacco e difesa, dall’altro la messa a punto di un nuovo programma di aiuti da 18 miliardi di euro. Questi i temi del vertice, programmato in origine a Bruxelles e poi trasferito nella capitale ucraina, a cui non presenzierà alcun capo di governo o di Stato. Ma i tre protagonisti, è fuor di dubbio, parleranno molto anche dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Che, nonostante l’invasione da parte della Russia, le sanzioni Ue e il sostegno fornito dai 27, non sembra più vicina rispetto a prima.

L’Ucraina ha lo status di candidato ufficiale: ma serve tempo
Il primo ministro ucraino Denys Shmyhal, auspicando passi avanti nei negoziati nel corso del 2023, ha detto a Politico: «Abbiamo l’ambizione di entrare nell’Unione europea entro i prossimi due anni». L’Ucraina ha lo status di candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione europea, ma per arrivare a Bruxelles servirà ancora del tempo. Magari non i decenni citati dal presidente francese Emmanuel Macron, ma ben più del biennio di Shmyhal. I leader che hanno spinto per la concessione dello status di candidato all’Ucraina al vertice di giugno 2022, scrive Politico, sanno che l’ingresso nell’Ue è lontano diversi anni e, probabilmente, è proprio questa la ragione per cui hanno sostenuto l’idea. Dopotutto, Paesi candidati come Serbia, Turchia e Montenegro aspettano da molto tempo (dal 1999 nel caso di Ankara): un’invasione subita non è motivo sufficiente per l’adesione all’Ue.

L’Euromaidan e le responsabilità che si sente Bruxelles
La Polonia e i Paesi Baltici, che certo non hanno buoni rapporti con la Russia (e hanno pessimi ricordi del periodo sovietico), sostengono fortemente l’Ucraina. Ma la “vecchia guardia” Ue morde il freno, nonostante un certo interesse per il Paese guidato da Zelensky, che al netto della guerra rimane una super potenza agricola globale. L’Ucraina rimane una sorta di enigma per Bruxelles, che in qualche modo sente di avere delle responsabilità nei confronti di Kyiv: dopotutto, fu la decisione del presidente filorusso Viktor Yanukovich di ritirarsi da un accordo di associazione politica ed economica con l’Ue a innescare nel 2014 l’Euromaidan, rivolta popolare che ha di fatto posto le basi per la guerra. Lo ha sottolineato anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la quale ha definito l’Ucraina «l’unico Paese in cui le persone sono state colpite perché si sono avvolte in una bandiera europea».

Il grosso nodo da sciogliere resta quello della corruzione
In ottica adesione all’Ue, il grosso nodo da sciogliere per l’Ucraina è rappresentato dalla corruzione, endemica nel Paese. Pochi giorni fa, per la prima volta dall’inizio della guerra, è scattata la prima vera purga anti-corruzione. Tra i funzionari licenziati o dimessi il numero due del partito di Zelensky (la lotta alla corruzione era stato il cavallo di battaglia delle presidenziali nel 2019), il viceprocuratore generale e due viceministri. Shmyhal ha detto: «Purtroppo la corruzione non è nata ieri, ma siamo certi che la sradicheremo». Von der Leyen da tempo insiste anche sulla necessità di riformare la Corte costituzionale del Paese, nello specifico per quel che riguarda le procedure di selezione dei giudici, in linea con le raccomandazioni della Commissione di Venezia, l’organo del Consiglio d’Europa che fissa le linee guida a cui i candidati all’accesso Ue devono attenersi in materia di giustizia. I cambiamenti, ha annunciato il primo ministro, potrebbero arrivare già questa settimana, prima del vertice. Ma i tempi non potranno comunque accorciarsi troppo, come per magia.