La storia della spia cinese che si sarebbe infilata dentro Twitter
L'ex responsabile della sicurezza Peiter Zatko ha accusato la piattaforma di essere a conoscenza della presenza di agenti stranieri dentro l'azienda. Con tutti i rischi per i dati degli utenti. Ma il social avrebbe preferito i profitti alla tutela degli iscritti. La vicenda.
Non ci sono solo le (presunte) ingerenze russe nella politica occidentale, con l’accusa di finanziamenti segreti ai partiti che sta facendo discutere molto anche in Italia. Si muovono pure inquietanti ombre cinesi, e questa volta parliamo del mondo delle Big Tech. L’ex capo della sicurezza di Twitter, Peiter Zatko, ha infatti detto alla commissione giustizia del Senato americano che l’Fbi avrebbe notificato alla società la presenza di almeno una spia di Pechino in azienda, circostanza che avrebbe messo in pericolo i dati degli utenti, nelle mirino delle intelligence straniere. E quale sarebbe stata la reazione di Twitter davanti a questa minaccia? Spallucce, secondo l’accusa del manager: meglio dare la priorità ai profitti rispetto alla protezione dei dati.

Hacker adolescenti avrebbero preso pure il profilo di Obama
Zatko è un ex hacker che ha iniziato a lavorare dentro Twitter nel 2020 ed è stato silurato a gennaio del 2022, ufficialmente per scarso rendimento sul lavoro. Ma dietro ci sono ragioni più profonde e delicate. L’esperto di sicurezza sostiene che la piattaforma social abbia mentito agli investitori su come raccoglie i dati degli utenti, e su che fine fanno questi. Ha detto di aver trovato, al momento della sua assunzione, un’azienda che era in ritardo di un decennio sugli standard di sicurezza. Non è un caso che Twitter sia stata presa di mira persino da qualche “smanettone” adolescente che è riuscito a ottenere il controllo di dozzine di account di alto profilo, incluso quello verificato dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Dirigenti ammaliati dalle opportunità economiche con Pechino
Durante la sua testimonianza, Zatko ha fatto riferimento anche a una storia riportata dalla Reuters, sugli scontri interni tra alcuni dirigenti che volevano massimizzare l’opportunità di entrate pubblicitarie da parte degli inserzionisti cinesi e altri che erano invece preoccupati di fare affari con Pechino. Il testimone ha poi ricordato una conversazione avuta con un altro manager di Twitter sui timori che un agente straniero si fosse incuneato all’interno dell’azienda. Il dirigente gli avrebbe risposto: «Beh, dal momento che ne abbiamo già uno, che importa se ne abbiamo di più?». Il social network, da parte sua, ha bollato le accuse come «piene di incoerenze e imprecisioni», ma difficilmente basterà per fare chiarezza sulla vicenda.
Gli account falsi e la vicenda che si intreccia con quella di Elon Musk
Zatko ha raccontato di aver provato più volte a convincere la società a intervenire sugli standard di sicurezza, senza però essere ascoltato. Solo dopo diversi tentativi avrebbe quindi deciso di rivolgersi alle autorità. Quando ha vuotato il sacco, ha detto anche di essere preoccupato dal reale numero degli account falsi sulla piattaforma e non di sapere come proteggersi da loro. Affermazioni che hanno fatto molto comodo a Elon Musk, che l’ha chiamato a testimoniare nel processo che lo vede contro la società dopo che ha deciso di rimangiarsi l’offerta da 44 miliardi di dollari per acquisire Twitter, proprio a causa del numero imprecisato di profili falsi. Anche se dietro il ripensamento ci sarebbero più che altro i timori per lo sviluppo della guerra in Ucraina e le conseguenze sugli equilibri internazionali. Ma questa è un’altra storia.