Ricerche giornaliere, location top secret e fughe notturne, la storia dei cacciatori di tartufo piemontesi diventa protagonista nel film The Truffle Hunters, il documentario diretto da Gregory Kershaw e Michael Dweck e co-prodotto da Luca Guadagnino. Presentato al Soundance Festival del 2020, è stato mostrato anche alle kermesse di Toronto e New York, ricevendo ovunque critiche molto positive.
Il tartufo sul grande schermo
Ora è la volta dell’approdo nelle sale del Regno Unito, dove arriverà il prossimo 9 luglio. Realizzato in collaborazione con il Centro Studi Tartufo delle Langhe, il film si propone come una fotografia della quotidianità dei “Trifolau”, cercatori tra i 70 e gli 80 anni che, con l’aiuto di cani appositamente addestrati, girano per i boschi del Monferrato, del Roero e delle Langhe alla ricerca del pregiato “oro bianco”. A catturare l’attenzione di Kershaw e Dweck, venuti a conoscenza di questo mondo per caso, mentre si trovavano in vacanza in Piemonte, è stata la segretezza dei suoi rituali. Molte spedizioni, infatti, hanno luogo di notte, in posti noti a pochi e con tecniche tramandate di generazione in generazione, all’interno di poche famiglie. «Si fa tutto col favore delle tenebre», ha raccontato Kershaw in un’intervista al Guardian, «I fornitori chiudono gli affari coi clienti in questi luoghi sperduti. E, di giorno in giorno, il prezzo cambia. Nessuno sa in anticipo quanto il tartufo arriverà a costare la mattina dopo». Una competizione spietata che, spesso, ha spinto qualcuno a lasciare trappole avvelenate per attirare e mettere a tappeto i cani dei rivali e accaparrarsi il bottino.
The Truffle Hunters, un reportage quotidiano
Infiltratisi per più di tre anni in questa comunità così chiusa, i registi hanno documentato quasi ogni minuto della routine dei protagonisti, ripresi mentre curano la campagna, si occupano della vendemmia, tagliano la legna, cucinano, vanno a caccia del tanto agognato tartufo. E, con delle GoPro sulle teste dei cani, sono arrivati addirittura ad avere una prospettiva diretta dei sentieri e dei percorsi battuti. «I cacciatori ci hanno messo un po’ per abituarsi alla cosa», ha spiegato Dweck, «Hanno fatto fatica a capire che non si trattava di un reality e che non eravamo giornalisti arrivati lì a svelare tutti i loro segreti ai turisti. Volevamo semplicemente documentare con naturalezza quel che succedeva, quel che facevano». Un’idea che emerge chiara in alcune scene, come quella della conversazione intima tra l’84enne Aurelio e il cane Birba, legati da un rapporto incomprensibile a chi guarda dall’esterno.
La raccolta dei tartufi e l’impatto del cambiamento climatico
Accanto alla celebrazione di una vita semplice e lontana anni luce dalla tecnologia, però, The Truffle Hunters fa spazio anche ad altri due aspetti altrettanto importanti. Componente fondamentale del film, infatti, è l’indagine che tocca, da un lato, il delicatissimo tema del business dei tartufi e, dall’altro, l’impatto del cambiamento climatico sull’ambiente e sul sistema della raccolta. La passione di pensionati come Aurelio e Angelo, animati dal desiderio di tenere viva la tradizione più che di trarne guadagno, si scontra con le pretese di un’industria che punta a lucrare su una prelibatezza in grado di fruttare tantissimo.
Un conflitto che, spesso, si ritorce contro gli stessi cavatori, costringendoli a rinunciare all’attività di una vita per tutelarsi dallo strapotere dei mercati e delle aziende. L’aumento spropositato della domanda, ovviamente, si scontra con la brusca diminuzione dell’offerta, legata alle conseguenze disastrose che il cambiamento climatico ha sugli ecosistemi. Il terreno secco e la scomparsa degli alberi da quercia, a causa del disboscamento, hanno rallentato di molto i ritmi della ricerca. Un problema a cui i registi hanno provato a trovare una soluzione, aprendo un fondo a disposizione degli abitanti del posto per l’acquisto di terre utili a tamponare le disastrose conseguenze della deforestazione, e continuare a tenere in vita una consuetudine ormai millenaria.