L’atlantismo del governo Meloni viaggia sull’asse Fazzolari-Giorgetti-Tremonti
Giorgia Meloni si affida a Fazzolari e Giorgetti per curare i rapporti con gli States e a Tremonti per accreditarsi a Washington. L'obiettivo? Espugnare lo "Stato profondo" ritenuto filo-francese e ancora legato al Pd. Che per tutelarsi, anche in vista delle nomine future, fa sponda col Quirinale.
Stati Uniti da un lato, Francia dall’altro. Il governo Meloni è attraversato, sotto traccia, da due cordate, se così si possono definire. La prima, filo-atlantista, ha tra i suoi uomini chiave Giancarlo Giorgetti, Giovanbattista Fazzolari e, soprattutto, Giulio Tremonti. La seconda, che preferisce guardare Oltralpe, ha il suo punto fermo nel Quirinale e rappresentanti in quello Stato profondo fatto di grand commis e lobbisti ancora permeato in gran parte dal Pd. E cerca un dialogo con l’esecutivo attraverso il ministro della Difesa Guido Crosetto. La posta è alta: in gioco c’è il ruolo dell’Italia nello scacchiere atlantico ed europeo tra futuro della Nato, controllo del Mediterraneo, ruolo dell’Europa, tecnologia, investimenti strategici, sanzioni alla Russia e contenimento della Cina.

La partita delle nomine con la benedizione di Tremonti
Tra i Fratelli d’America, Fazzolari, “regista” meloniano, è colui che da tempo tiene i contatti con i referenti di Washington. Media, tesse rapporti e soprattutto ricorda all’alleato americano che Fdi è altro rispetto a Fidesz, il partito-Stato ungherese di Viktor Orban, visto dagli americani come fumo negli occhi, tanto che la vicinanza di Meloni a Budapest, ricordano i ben informati, «era l’unico vero dubbio di Washington sulla premier». Giorgetti invece è quello di sempre: dialoga in nome della Lega governista con cui la leader di FdI ha stretto un patto ferreo. Si muove con attenzione, cercando di evitare che i colpi di testa di Matteo Salvini rompano il ponte creato negli anni con il mondo finanziario, politico ed economico a stelle e strisce. Della cordata atlantica poi fa parte naturalmente Alfredo Mantovano sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Insieme i tre saranno, sempre con il sostegno di Washington, registi di nomine strategiche. Il primo banco di prova sarà Leonardo, dove i dem, Sergio Mattarella e il commissario Ue Paolo Gentiloni puntano su Crosetto per difendere la tenuta di Alessandro Profumo nel ruolo di ad. Ma il piatto è decisamente ricco: da Eni, sempre più atlantica, alla Guardia di Finanza (snodo cruciale per i servizi) sono molti i dossier spinosi in campo. A fare da “padre nobile” in queste operazioni è Giulio Tremonti, il quale ha digerito meglio di quanto ci si potesse aspettare la mancata elezione a presidente della commissione Bilancio della Camera e il passaggio a quella strategica degli Esteri, snodo cruciale al pari della Farnesina guidata da Antonio Tajani. L’ex ministro dell’Economia tra l’altro ha aggiornato le credenziali atlantiche di Giorgia Meloni introducendola all’Aspen Institute e dunque per Washington rappresenta una doppia garanzia.

L’onda filo-atlantista nei ruoli chiave dei Palazzi
Il vero obiettivo ora è riallineare gli apparati dello Stato in senso più filo-americano sostituendo gradualmente i fedelissimi di area Pd nelle posizioni chiave. Tremonti ha iniziato la manovra con l’operazione capi di gabinetto. A Palazzo Chigi è arrivato Gaetano Caputi, suo storico braccio destro; il segretario generale del governo sarà invece Carlo Deodato, già capo del dipartimento affari legislativi a Palazzo Chigi con Enrico Letta e Mario Draghi ma soprattutto ex capo di gabinetto del ministro degli Affari Europei Paolo Savona, vicinissimo a Tremonti ai tempi del Conte I. Non va dimenticato che proprio l’asse Tremonti-Savona-Giorgetti permise la nascita del governo gialloverde dopo il veto di Mattarella su Savona al Mef aprendo a Giovanni Tria. Il capo di gabinetto di Giorgetti è invece Stefano Varone, entrato nel giro del leghista ai tempi dello Sviluppo Economico e sempre riferibile allo stesso asse. È solo un antipasto dello spoil system, in attesa delle grandi partite di primavera, in cui la cordata “atlantica” mira a lasciare il segno. In tempi di nuova guerra fredda molti nel governo Meloni hanno già scelto da che parte stare. Ora bisognerà vedere come il partito dei “Fratelli d’America” riuscirà a convivere con i grand commis e manager vicini alla Francia che oggi sperano, invece, nel potere equilibratore del Quirinale sulla nuova maggioranza.