Tre storie. Tre lutti.
Dodo/Bali
Qualche giorno prima di partire per Bali Dodo è stato a Milano a casa dei suoi per passare con loro il Natale. Al pranzo nell’attico di via Ampère c’erano come al solito, oltre a mamma e papà, i soliti quattro amici di famiglia: Giulia e Peppino, Sara e l’avvocato Pucci. Dodo ha quarantadue anni, una laurea in economia finanziaria in Bocconi, ha gli occhi chiari, non azzurri che in Italia sono scontati, la sua mano li strofina quando ha sonno o quando ha trascorso una nottata particolarmente turbolenta. Ricorda Jude Law in Alfie, da tre anni vive in Lussemburgo in un mega appartamento che costa d’affitto 5 k al mese e quando non è lì è in giro per il mondo: Fuerteventura, Madrid, Hanoi, St. Barth, Rio, Ko Pha-Ngan, qualche isola della Grecia tipo Patmos o Mykonos, Amsterdam, la Sardegna, il Salento tutte le estati, Bucarest, Nassau e così via. Ha deciso di trascorrere il Capodanno a Bali perché ha sentito da qualche parte che lì abitava Mick Jagger, poi ha scoperto che non era vero ma alla fine è partito lo stesso.

Situato su una scogliera affacciata sull’Oceano Indiano, il Bulgari Resort dove alloggia dista 6 km dal tempio di Uluwatu e 9 km dal centro culturale Garuda Wisnu Kencana. Adesso è seduto al bar dell’albergo e quando un cameriere gli porta il suo drink se ne scola un terzo d’un fiato con gratitudine prima di alzare gli occhi al cielo. Ieri ha dormito due ore, la notte prima l’ha fatta in bianco. Si arrampica su uno sgabello mentre fuori fa già un caldo insopportabile, il sole filtra dalle persiane, proiettando raggi fumosi che cadono sui divani e sui tavoli, cercando di colpire i vampiri e i maledetti. Quando si guarda intorno si rende conto che il bar dell’albergo è pieno zeppo di gente che, come lui, è rimasta in piedi dal tramonto all’alba. Quando torna su in camera, che definirla camera risulterebbe alquanto riduttivo dato che è una suite di circa 115 metri quadri, in giro c’è il solito scempio: i pantaloni e la camicia di lino buttati per terra come la sagoma tratteggiata di un omicidio, bottiglie e bicchieri sparsi ovunque sul tavolo, un piatto bianco appoggiato sul comodino con delle strisce di cocaina stese sopra accanto a un flacone di valium e ad un bicchiere di whisky ancora mezzo pieno.
C’è un perizoma appeso ad una lampada e sul letto, tra le lenzuola sfatte, una schiena nuda si muove in maniera quasi impercettibile. È abbronzata a dovere, ha solo come una specie di T bianca che pare quasi disegnata che le avvolge la vita e scende tra le chiappe. Meral. Poi la schiena si muove, Meral si gira, dice “buongiorno” e si allunga per un bacio. Dodo la guarda e non può fare a meno di pensare a tutte le porcate che ha fatto fare a quella bocca fino a poche ore prima, dopo aver saccheggiato il mini bar della suite, aver finito tutte le mignon di Moët Chandon a disposizione ed essere scesi completamente nudi nella piscina riscaldata dell’hotel a scopare come selvaggi, completamente sballati. Poi sono una serie di flashback di lei che si sgrilletta, di lei che tira di coca o di lei che offre il culo urlando “scopami più forte”, prima di togliersi di dosso la maglietta color pistacchio, i bermuda kaki e infilarsi sotto la doccia consapevole che ad attenderlo ci sarà l’ennesimo anno da vivere al massimo, con il sole in fronte. Il duemila ventitré. Anche se, che cazzo, è appena morto Pelé.
DFA/Hokkaido
Hokkaido è un’isola idilliaca e incontaminata. Una sorta di paradiso dove ripararsi dal caos del Giappone super-tecnologico e rientrare finalmente in contatto con la natura. L’isola, situata nell’estremo nord del Giappone, per il 70 per cento del suo territorio è ancora ricoperta da vaste foreste, coste frastagliate, vulcani attivi ed enormi parchi naturali. DFA ci è atterrato ieri, partito da Barcellona dopo aver trascorso un paio di giorni a Tokyo, e di colpo si è sentito simile a quel personaggio interpretato da Leonardo Di Caprio in quel film di Danny Boyle intitolato The Beach. Due settimane fa sulle Alpi francesi, a Megève, un piccolo comune francese di circa 3500 abitanti, considerato uno delle mete sciistiche più prestigiose d’Europa, dove era accorso per partecipare ad un corso di kendo tenuto dal maestro Yoshiyuki Hirano, (attualmente coach della nazionale svizzera e vera superstar in materia per via dei suoi famosi ritri chiamati Ken&Zen, all’interno dei quali si mischiano meditazione e tecniche di combattimento samurai), dopo giorni di esercitazioni con spade di legno giapponesi, digiuni e docce gelate, alla cena finale del ritiro, dove tutti indossavano vestiti tradizionali giapponesi, mentre mangiava anguilla cruda e beveva sakè, è entrato in contatto con un tizio di Hokkaido con cui ha iniziato a parlare di meditazione e uso psichedelico sicuro, strutturato e responsabile della psilocibina.

Durante la conversazione è venuto fuori che 悠生, oltre a essere il discendente di una delle famiglie più importanti del Giappone, proprietaria di una delle più antiche distillerie di whisky di Hokkaido, lo Yoichi, è anche un adepto della cosiddetta third wave, una sorta di setta, specializzata in Rinascimento psichedelico, che negli ultimi anni ha letteralmente rivoluzionato il mondo della salute mentale. «Gran parte della sofferenza, dell’ansia, della tristezza, della depressione, sono causate dall’interpretazione che la nostra mente mette in atto di fronte alla realtà», ha detto 悠生 a DFA, «la terapia assistita da psilocibina è risultata essere uno dei metodi più efficaci per curare la depressione grave. La terapia con MDMA ha mostrato un tasso di successo del 76 per cento per il disturbo da stress post-traumatico, oltre il 300 per cento più efficace rispetto ai trattamenti convenzionali. Le cliniche per la ketamina ottengono riduzioni significative e rapide dei sintomi di depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico. Ancora più eccitante è che gli psichedelici non stanno solo trasformando la salute mentale e la guarigione ma il nostro intero paradigma per comprendere il potenziale umano, le prestazioni e il benessere. Tutto sta cambiando. C’è una ragione per cui influencer come Tim Ferriss, Joe Rogan e altre icone di alto profilo della Silicon Valley promuovono gli effetti di miglioramento delle prestazioni degli psichedelici: funzionano».
E poi gli ha chiesto, «perché non vieni con me a Hokkaido a passare le vacanze di Natale? Organizziamo un ritiro in alta montagna, lontano dalle mete turistiche dello sci, e attraverso un’assunzione mirata e responsabile di Magic Mushroom Golden Teacher, che tra l’altro sono i miei preferiti in assoluto, facciamo meditazione nudi nella neve seguendo rigorosamente i dettami dello zen». Ed ecco perché DFA ora è sul monte Asahi, il più alto di Hokkaido, strafatto di psilocibina, inginocchiato, con indosso solo un paio di mutande tradizionali giapponesi, alla maniera di Wim Hof, celebre sportivo olandese, noto anche con il soprannome di Iceman, famoso per aver stabilito diversi Guinness mondiali per il nuoto sotto il ghiaccio e per una mezza maratona a piedi nudi sulla neve.
Dopo otto ore di meditazione estrema e un principio di ipotermia adesso 悠生 e DFA bevono whisky per scaldarsi, seduti uno di fronte all’altro, nella distilleria Yoichi ed entrambi i loro ego si sono come dissolti. Mancano pochi minuti a mezzanotte quando lo squillo di un telefonino li riporta alla realtà e dall’altra parte è la voce di sua moglie Promethea che da Barcellona gli dice che è appena morto Arata Isozaki, uno dei migliori amici di suo padre, (l’archistar spagnolo Bofil), un architetto famoso in Spagna come autore del Palau Sant Jordi, una grande arena polivalente di Barcellona. «La conferma della scomparsa è stata data un portavoce del suo studio alla stampa spagnola e all’agenzia Efe. Devi tornare assolutamente a casa per il suo funerale», dice la voce. «Impossibile amore, domani è il primo dell’anno, non ci sono voli e inoltre devo assolutamente andare con 悠生 per partecipare a una caccia al cervo a cui siamo stati invitati», risponde DFA, prima di interrompere bruscamente la comunicazione.
Sofia/Tangeri
Lontanissima dal comfort e dal divertimento dell’ipertrofica Marrakech, Tangeri è un posto che si abbandona con infinita grazia alla sua perenne rovina e porta su di sé le tracce di mille influenze culturali: dai bizantini ai romani, dagli arabi agli inglesi, dai fenici ai vandali. Da queste parti ci sono passati proprio tutti. Si dice che qui anche gli artisti che hanno già dilapidato i patrimoni di famiglia possono permettersi di vivere da signori. E in aeroporto, mentre attendevo i miei bagagli in arrivo da Malpensa, ho letto sull’iPhone sul sito del Foglio un articolo scritto da Costantino della Gherardesca che raccontava di una serie di scrittori e intellettuali bohémien che hanno soggiornato qui per parecchio tempo: da William Burroughs (che proprio a Tangeri scrisse Il pasto nudo) a Jack Kerouac, da Peter Orlovsky ad Allen Ginsberg. «A rinforzare le fila di questa invasione gentile ci pensarono gli inglesi che, nel pieno della Swinging London, scelsero il porto marocchino come patria d’elezione. Capofila di questa nuova ondata di occidentali fu Christopher Gibbs, dandy, antiquario, arredatore ed esteta il cui appartamento londinese fu set per alcune scene di Blow up di Michelangelo Antonioni e Lucifer rising di Kenneth Anger. Amico di Mick Jagger e Marianne Faithfull, Gibbs fu set designer di Performance di Roeg e Cammell, in cui il cantante dei Rolling Stones recitò come protagonista al fianco di Anita Pallenberg e James Fox».

Sono arrivata a Tangeri questa mattina per festeggiare il Capodanno e sono con mia sorella Clarissa, arrivata direttamente da Tel Aviv, e con mio cugino Timoteo, che ha fatto il viaggio dall’aeroporto di Brindisi insieme a me. Il Café Hafa è un sorriso pacato sull’oceano. Le sue terrazze degradano verso il mare tra tè alla menta e chitarre accordate alla buona. Qualcuno fuma il kif, scherzando con i suoi amici. Qualcun altro sfoglia con noncuranza un libro di Paul Bowles, uno dei tanti scrittori che elessero Tangeri a proprio buen retiro. Odorano di sale i vicoli della medina di Tangeri, e io ho solo voglia di trovare un po’ di hashish, di stordirmi e di perdermi in qualche festa da qualche parte e non pensare più a nulla. Non pensare ai miei, non pensare ai ragazzi, non pensare agli esami da dare all’università. Di Tangeri Truman Capote scrisse: «Prima di partire ricordatevi di queste tre cose: fatevi vaccinare, ritirate tutti i vostri risparmi e dite addio ai vostri amici».

A mezzanotte sono già ubriaca e completamente fatta e brindo con Timoteo e Clarissa all’arrivo del nuovo anno, entrambi fuori quanto me, al Café de Paris, tra le sue sfilacciate poltrone in velluto, i suoi specchi, il suo grande salone Anni 50. Qui, un tempo un’eccentrica aristocrazia intellettuale europea in dolce esilio amava discutere di vita, di morte, di politica. Ancora oggi, questo luogo un po’ stantio ha l’aria nobile di chi è rimasto un po’ in disparte senza perdere la dignità. In qualche modo mi ricorda Andrea, chissà perché. Il Café de Paris comunque è il luogo più occidentale di Tangeri, un souvenir della vecchia Europa ormai introvabile nel nostro continente. O comunque assolutamente introvabile sia a Lecce che a Milano. Quando alle sei del mattino arrestano Timoteo davanti al Cafe Centrale non capisco più niente già da ore, l’ultimo ricordo che ho è che abbiamo fumato nei bagni di un qualche hotel dell’eroina inneggiando il nome di Vivienne Westwood, di cui qualcuno ci aveva annunciato la recente scomparsa, e poi più nulla. Quello che so è che scoppierà un casino tremendo, un po’ perché quando verranno a saperlo i miei ci uccideranno e un po’ perché Timoteo è il figlio di uno dei ministri del nuovo governo e sono certa che la cosa allo zio non piacerà proprio per niente. Più col botto di così l’anno non sarebbe potuto iniziare.