L’omicidio della transgender Doski Azad e l’omofobia nel Kurdistan iracheno

Camilla Curcio
21/02/2022

Assassinata per motivi d'onore, la transgender curda uccisa dal fratello era stata minacciata a più riprese dalla famiglia. Per gli attivisti LGBTQ, l'ennesima dimostrazione di quanto la legge irachena non protegga le vittime e giustifichi i carnefici.

L’omicidio della transgender Doski Azad e l’omofobia nel Kurdistan iracheno

Sono emersi nuovi, tragici dettagli sul delitto di Doski Azad, transgender curda uccisa a colpi d’arma da fuoco dal fratello lo scorso 28 gennaio. Secondo quanto rivelato dagli amici agli inquirenti nel corso delle varie deposizioni, la 23enne era stata costretta ad allontanarsi dalla famiglia a seguito di una serie di minacce di morte da parte dei parenti. Una situazione pericolosa e invivibile che l’aveva portata a nascondersi in un posto segreto. 

Chi era Doski Azad, la make up artist transgender uccisa dal fratello

Quando, quasi un mese fa, il suo corpo è stato ritrovato in un fosso poco fuori la città di Duhok, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, la notizia ha lasciato senza parole. I proiettili che hanno ucciso Azad, che era stata legata, sono partiti direttamente dalla pistola del fratello che, a giudicare dalle informazioni raccolte dagli investigatori dopo l’arresto, sarebbe rientrato dalla Germania col solo scopo di mettere in piedi l’assassinio. Make up artist di talento, Azad ha sempre cercato di mantenersi da sola sin da quando, ancora adolescente, i genitori le avevano voltato le spalle. Aveva fatto tanta gavetta: preparava le spose e si era fatta un’ottima reputazione nel Kurdistan iracheno grazie a un lavoro in un salone di Duhok. «Era una persona così a modo, tutti le volevano bene», ha raccontato un amico al Guardian. «Era andata via di casa perché non l’accettavano. Le avevano detto che, appena l’avessero vista da sola, l’avrebbero uccisa». 

La storia di Doski Azad, make up artist transgender uccisa per motivi d'onore
La make up artist Doski Azad (Twitter).

Uccisa per aver disonorato la famiglia

Sebbene non sia ancora ufficiale, la polizia non sembra avere dubbi sul movente dell’omicidio: si tratterebbe di un delitto d’onore. «È stata ammazzata nel villaggio di Mangesh, a 12 miglia dalla città», ha sottolineato il portavoce della polizia, Hemin Suleiman. «Il killer l’ha freddata e poi ha abbandonato la scena del crimine per ritornarsene in terra tedesca». Non era la prima volta che i familiari avevano provato ad attentare alla sua vita: «Qualche mese fa l’ho chiamata e non mi rispondeva», ha raccontato un amico. «Dopo parecchi tentativi, sono finalmente riuscito a contattarla e mi ha spiegato che era corsa a sporgere denuncia perché il fratello aveva tentato di assassinarla».

Il Kurdistan e l’omofobia

In Kurdistan, i crimini d’odio nei confronti della comunità LGBTQ+ stanno diventando un problema grave. Lo scorso anno, come riportato da Rudaw, un’altra transgender è stata uccisa dai parenti. «Azad era una delle poche transessuali dichiarate in terra curda», ha puntualizzato Zhiar Ali, attivista del collettivo Yeksani. «A oggi, non nascondersi viene ancora visto con troppo pregiudizio. E la libertà ne risente». A infastidire Ali è stata anche la copertura del caso da parte dei giornali locali che hanno usato nei confronti della vittima espressioni dispregiative: «Abbiamo assistito a un disastro inammissibile», ha aggiunto. «Le vittime dei delitti d’onore sono ancora fin troppe, esistono centinaia di lapidi senza nome, vengono ridotte a un numero. Ed è assurdo che tanto l’opinione comune che la stampa manchino loro di rispetto al punto da reputarle colpevoli e, soprattutto, da maltrattarle anche da morte».

Se la legge non tutela le vittime 

Per la ricercatrice di Human Rights Watch Rasha Younes, il caso di Azad ha acceso i riflettori su quanto l’impunità di cui gode chi commette violenze e atti omofobi sia giustificata dalla legge irachena. «In Iraq, gay, lesbiche e transessuali non godono di alcuna protezione legislativa e la loro identità sessuale, percepita come diversa, diventa oggetto di soprusi che rendono le loro vite impossibili e, spesso, ne causano la morte», spiega la ricercatrice. Una linea sposata anche dall’attivista Amen Sherwan: «È davvero assurdo pensare che qualcuno debba pagare il prezzo di essere se stesso». Mentre i consolati americano, francese e tedesco a Erbil hanno condannato il delitto su Twitter, il governo regionale curdo non ha rilasciato alcuna dichiarazione. E, contattato dalla stampa, si è rifiutato di rispondere a qualsiasi richiesta di commento.