Notte fonda, scendo le scale di un elegante palazzo, mi appoggio al corrimano barcollante e visibilmente sconvolto, sono in boxer piedi nudi e la mia Ralph Lauren è completamente macchiata di sangue. Non ricordo nulla di quello che è successo e sono assalito da un terribile senso di colpa che non riesco a giustificare in nessun modo. Tremo, sbavo, sbando. Quando finalmente sono in strada mi accovaccio sul ciglio del marciapiede e inizio a piangere, piove e il cielo sembra mi cada addosso. Qualcuno mi segue. Mi alzo di scatto e inizio a correre, perdo l’equilibrio e cado, poi mi rialzo ma non riesco a stare in piedi, mi butto tra un dedalo di vie che non conosco e sono nel panico più assoluto. Continuo a guardarmi alle spalle e anche se non vedo nessuno quella spiacevole sensazione di essere seguito non passa, mi sento come una preda braccata senza via di scampo e completamente fradicio e singhiozzante dalla paura ricomincio a correre. Immagini di Allegra sgozzata e riversa completamente nuda in un lago di sangue sul pavimento del bagno mi passano continuamente davanti agli occhi.
La lama di un affilatissimo coltello giapponese. La città è deserta, ho bisogno d’aiuto, urlo a squarciagola ma nessuno mi sente. Sono solo. Poco prima di svenire in preda alla disperazione mi sveglio nel mio letto e dal lucernario entra un insensato bagliore di colore rosa. Mi manca l’aria.
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Siedo ai tavolini del Bar Basso davanti ad Allegra, due bloody mary tra noi, io sono sul distratto andante, quando lei se ne accorge e mi chiede il perché, mi giustifico in maniera poco convincente bisbigliando frasi sul tempo e compagnia bella.
«Cosa hai fatto oggi, signorina?», le chiedo, prima di rendermi conto che non mi interessa particolarmente, anche se le sto accarezzando la mano. «Niente di eclatante, solita solfa», Allegra inspira. «La mia vita in questo periodo è molto più tranquilla di quello che credi. Sto evitando un sacco di persone del vecchio giro, sai, mi hanno un po’ stufato, devo abituarmi a un sacco di cose nuove, ma in fondo è divertente». «Ti capisco», dico. «Davvero, so di cosa parli». Alzo gli occhi con un sorriso navigato e bevo un sorso di bloody mary facendo finta di niente. «Lavori da qualche parte a Capodanno?», chiede Allegra. «No, ho dato un taglio alle serate, mi sono preso un weekend di pausa, niente Sestriere quest’anno, niente Courmayeur, niente di niente, forse vado al lago ma non ho ancora deciso», dico stiracchiandomi sulla sedia. «Poi, tu odi la montagna», aggiunge lei, sorridendo. «Comunque nada montagna anche per me, vado a Parigi».
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Momento di gelo. Non dico niente. «Andre, mi hai sentito?», chiede. «Cosa? A Parigi? E con chi?». «Prego?». «Voglio sapere con chi cazzo vai a Parigi, tutto qui, ci siamo lasciati da neanche due settimane e vai già via con qualcuno… perché lo so che è così…ti sembra una cosa normale?», domando, leggermente alterato. «Primo, stai calmo, perché ti ricordo che sei tu che mi hai lasciato, e secondo, io faccio quello che voglio e non ti devo rendere conto proprio di un cazzo di niente, caro mio». Io distolgo lo sguardo e le cose, di colpo, si fanno difficili. «Amore», dico. «Pensavo fossimo d’accordo, non è una scelta che ti ho imposto…». Lascio in sospeso la frase. «Vaffanculo, tu e le sedicenni che ti scopi strafatto nei cessi delle discoteche, vaffanculo, cazzo». Allegra comincia a scaldarsi. «Ha parlato Maria Goretti, ma falla finita, che non ci credi neanche tu», borbotto stancamente. «Se credi di farmi piangere ti sbagli di grosso, ho pianto anche troppo». «Amore, ho bisogno… devo… », poi ci riprovo. «Dammi un po’ di tempo, devo schiarirmi le idee…». «Andre, perché è successo tutto questo?», chiede. «Oddio», sospiro. «Poi, non rigirare la frittata, con chi cazzo vai a Parigi?», domando cercando di riprendere in mano la situazione. «Sono cazzi miei». Incasso e mi schiarisco la gola. Poi non ho più voglia di discutere e quando, dopo averla salutata, la vedo salire sul taxi mi rendo conto di non provare assolutamente niente.
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