I signori in Giallo

Stefano Iannaccone
26/06/2021

Dall'impresa di Pantani che vince un Tour a cui non avrebbe dovuto partecipare a Gino Bartali, capace con le sue imprese di evitare lo scoppio della guerra civile. Storie e leggende degli italiani alla Grande Boucle.

I signori in Giallo

Un giorno d’autunno nel cuore dell’estate, con la pioggia a battere forte sulle Alpi. Se non ci fosse stato il calendario a dire che era il 27 luglio, non ci avrebbe creduto nessuno. Una giornata da tregenda, di quelle che sembrano messe lì per tramutarsi in epica. La tappa, d’altronde, prevedeva il Col du Galibier, un gigante che porta le biciclette a oltre 2.600 metri di altitudine. Per scrivere una pagina indelebile, non mancava nulla, compresi gli attori protagonisti. Anzi, l’attore, Marco Pantani. Nel 1998 si trovava lì quasi per caso, o meglio per gratitudine e affetto: qualche settimana prima era morto Luciano Pezzi, l’uomo che più aveva creduto in lui. Anche quando nei pedali del Pirata si era incagliata la sfortuna.

Pantani, in Giallo per Luciano Pezzi

Così in quel giorno così poco estivo, la storia del ciclismo scrisse uno dei suoi capitoli più entusiasmanti. Per l’Italia, e non solo. Pantani divenne definitivamente Pantanì, sedusse tutti gli appassionati: abbatté lo steccato della rivalità con i transalpini. Nel segno della bellezza, di un perfetto esempio di epica del ciclismo. Con il trionfo sul traguardo di Les Deux Alpes, il Pirata si prese il Tour de France, lasciando il tedesco Jan Ullrich a quasi 9 minuti. Una corsa a cui Pantani non avrebbe voluto partecipare dopo aver conquistato il Giro d’Italia. Se non fosse stato per rendere omaggio alla memoria di un padre adottivo.

Una storia che chiude il cerchio di un’epoca: ventitré anni prima, nel 1965, il neoprofessionista Felice Gimondi conquistò il Tour de France: alla prima partecipazione fece centro con la maglia della Salvarani proprio di Luciano Pezzi. Gimondi centrò un risultato che sarebbe mancato per decenni all’Italia, relegando alla piazza d’onore l’idolo di casa, lo scalatore Raymond Poulidor, eterno secondo amato dai francesi perché attaccante instancabile. Ma il bergamasco era tenace e forte a cronometro. Per due volte, in quell’edizione, si imporrà nelle prove contro il tempo.

Bartali, in Giallo per evitare la guerra civile

Cinquant’anni esatti prima di Pantani, la firma sul Tour la mise Gino Bartali, che a metà tra storia e leggenda, si dice abbia salvato l’Italia dalla guerra civile. Il 14 luglio Antonio Pallante, infatti, sparò al leader del Pci, Palmiro Togliatti, ferendolo gravemente. Il Paese ribollì di rabbia e a lungo si temette il precipitare delle proteste e lo scoppio di violenze. Si racconta che Alcide De Gasperi, allora presidente del Consiglio, telefonò al campione toscano per chiedergli qualcosa di epico.

Sarà stato per la classe innata o per rendere un servizio al Paese, fatto sta che il giorno successivo Ginettaccio, un decennio dopo la prima (e fino ad allora unica) vittoria alla Grande Boucle, inventò un attacco sul Col d’Izoard, avvicinandosi alla maglia gialla del francese Louison Bobet. Le gesta di Bartali incollarono davvero gli italiani alla radio, incuriositi di sapere se il vecchio ciclista sarebbe riuscito nell’impresa di ribaltare la corsa e arrivare sui Campi Elisi in Giallo. Nella frazione successiva, sempre tra le Alpi, completò l’impresa, strappando al rivale il simbolo del primato con un altro, micidiale affondo. Arriverà da trionfatore a Parigi, mentre in Italia la tensione politica era ormai calata.

Nibali, re sulle pietre della Roubaix

Che le vittorie italiane, dieci in totale, al Tour de France non siano banali, lo ricordano anche gli appassionati più giovani. Vincenzo Nibali si guadagnò, nel 2014, un bel pezzo di maglia gialla sul famigerato pavé della Parigi-Roubaix, inserito dagli organizzatori nel percorso per movimentare la corsa. La Grande Boucle ne uscì terremotata, lo Squalo, invece, alla grande. Azzannò le pietre e tappa dopo tappa consolidò il primato, fino a mettere il suo nome nell’albo d’oro della corsa, primo italiano dopo Pantani.

A ulteriore conferma che i trionfi tricolori sulle strade d’Oltralpe rappresentino qualcosa di speciale, c’è la storia di Ottavio Bottecchia, primo italiano a vincere la Grande Boucle. E unico a esserci riuscito, due volte consecutive, nel 1924 e nel 1925, diventando un idolo per i francesi, che lo chiamavano Botescià. Fu, poi, il primo in assoluto a indossare la maglia Gialla dalla prima all’ultima tappa. Una carriera di soddisfazioni interrotte dalla morte, prematura, nel 1927. E qui comincia il mistero. Secondo la versione ufficiale Bottecchia morì per un incidente, forse causato da un malore, ma altre fonti parlano di un’aggressione, forse, da parte di un gerarca fascista. Resta il fatto che a meno di 33 anni il campione perse la vita.

Nencini, il Leone del Mugello ruggisce al Tour

Il Tour del 1960 battezzò l’arrivo in giallo di Gastone Nencini, il Leone del Mugello. Un’accoppiata tutta italiana monopolizzò la vetta della classifica generale: il secondo fu infatti Graziano Battistini. Nencini, pur senza ottenere una vittoria di tappa, si dimostrò il più forte in salita e in discesa, firmando ottime prestazioni anche a cronometro. Così, otto anni dopo Fausto Coppi (che aveva già vinto nel 1949), comparve il nome di un altro italiano nell’albo della Grande Boucle, a cui Nencini non parteciperà più. Il viaggio dell’Italia in giallo, tra emozioni, epica e sofferenza, invece, si chiude, proprio dove era iniziato: lungo le rampe del Col du Galibier, mentre le lancette tornano spedite al 1952. Fu l’edizione che consegnò agli annali l’immagine in bianco e nero più potente della storia del ciclismo: i due rivali di sempre, i Dioscuri della bicicletta, Coppi e Bartali, uniti per sempre dal passaggio di una borraccia.