Ci sono storie di grandi gregari, decisivi nei successi più dei capitani o, addirittura, capaci di mettersi in proprio quando la strada, per motivi diversi, li ha improvvisamente promossi. Alcuni di loro si sono resi protagonisti di gesta memorabili, sintetizzate da istantanee che, al di fuori di ogni retorica, spiegano bene l’importanza della squadra nel ciclismo, sport per natura solitario. Il Giro d’Italia 2021 ne è un esempio: l’immagine di Daniel Martinez che incita Egan Bernal, in una giornata storta, è una delle cartoline più belle ed emozionanti dell’ultima edizione della Corsa rosa. Così come è commovente la pacca sulla spalla di Damiano Caruso, che ringrazia un monumentale Pello Bilbao nella penultima tappa, quella che lo vedrà vincitore e gli consentirà di blindare il secondo posto in classifica.
Gregari infedeli, l’ammutinamento di Froome
Luogotenenti fedeli, a cui se ne contrappongono altri che di pedalare per le vittorie altrui non ne vogliono sapere. Ne è consapevole Sir Bradley Wiggins che, nel 2012 (anno del suo trionfo alla Grande Boucle), ha dovuto fare i conti con un gregario più forte di lui in salita: il keniano bianco, Chris Froome. Nella tappa con arrivo a La Toussuire, Wiggins in maglia gialla fu staccato proprio dal suo compagno, che fu fermato dall’ammiraglia per evitare confusione nei ruoli.
Il bis arrivò sui Pirenei: tra un’accelerata e un improvviso calo dell’andatura, Froome ribadì chi fosse il più forte nella squadra, sperando di avere almeno il via libera per vincere la tappa con arrivo a Peyragudes. Wiggins non ci pensò proprio: pretese che il gregario facesse il suo lavoro, restasse fino all’ultimo al suo fianco. Gli scatti, tuttavia, non passarono inosservati e diedero l’impulso a un cambio nelle gerarchie interne per l’immediato futuro. Wiggins avrebbe portato a casa quel Tour, ma il capitano l’anno successivo sarebbe stato Froome.
Geraint Thomas, la legge del contrappasso
La nemesi si compì nel 2018, quando il britannico Geraint Thomas, storico gregario di Froome al Team Sky, si prese i galloni di capitano sulle strade della Grande Boucle. Il keniano bianco, reduce da una strepitosa vittoria al Giro d’Italia, sognava la doppietta, vent’anni dopo Marco Pantani. Ma sulla sua strada trovò un luogotenente in stato di grazia. Questa volta la squadra non si intromise, preferì che a decidere fosse la forza nelle gambe. Froome dovrà accontentarsi del podio, dove salirà sul terzo gradino. In giallo a Parigi ci arriverà il gallese.
In un gioco di corsi e ricorsi, lo stesso Thomas pagherà dazio appena un anno dopo, quando i ruoli si rovesceranno per l’ennesima volta in una squadra diversa solo nel nome, con la Ineos che sostituirà Sky. Il giovane colombiano Egan Bernal, arrivato al Tour de France del 2019 per caso (avrebbe dovuto correre il Giro d’Italia, ma un infortunio lo dirottò alla Grande Boucle), stupì tutti. I progetti iniziali prevedevano in cima il campione in carica Thomas. Ma pedalata dopo pedalata, il sudamericano dimostrò una condizione stratosferica, una gamba migliore rispetto al capitano. Vinse a sorpresa, relegando al secondo posto il compagno nell’occasione rivale.
Tra i due fratelli, gode Sastre
Ma se la storia recente racconta di una questione riservata alla Sky, poi divenuta Ineos, sono molti i precedenti importanti. Nel 2008, lo spagnolo Carlos Sastre salì in cattedra, nella sua Csc-Saxo Bank, con un attacco sulla leggendaria Alpe d’Huez, mentre il leader della classifica generale era il compagno di squadra lussemburghese Frank Schleck. Questo, a sua volta, aveva conquistato il titolo di capitano ai danni del fratello Andy. Il possibile scontro in famiglia venne oscurato dallo scalatore iberico, che mise in scacco tutti, strappando loro il simbolo del primato. L’azione, si è scoperto successivamente, non era stata concordata, fu un’iniziativa personale di Sastre.
La strada ha raccontato di altre gerarchie capovolte, come nel 1997. Jan Ullrich correva nella Deutsche Telekom, insieme al vincitore dell’edizione precedente, il danese Bjarne Riis. In quell’anno, però, il tedesco si dimostrò un ciclone, costringendo il ciclista con il dorsale numero uno al ruolo di pretoriano di lusso.
Landis, quando il tradimento non è sulla strada
Chiudiamo con la storia di un altro gregario che ha “tradito” il capitano, ma non lungo i tornanti di una salita. Floyd Landis vinse il Tour nel 2006, poi revocato a causa del doping. Allora era già fuori dalla Us Postal, la corazzata di Lance Armstrong, presso cui aveva precedentemente prestato servizio. Fu lui anni dopo a svelare il sistema oscuro e vietato, messo in piedi dal team del texano. Landis sarebbe stato l’uomo chiave per scoperchiare un autentico vaso di Pandora. Più che un colpo basso, fu un ravvedimento, pur tardivo. Un gesto che, comunque, permise al ciclismo, e in particolare al Tour de France, di archiviare definitivamente un passato tribolato. Un atto che, in fondo, fece il bene di tutti. Ad eccezione, forse, del solo capitano.