Tokyo, giù le barriere
La Capitale giapponese che ospita le Paralimpiadi negli ultimi anni è diventata sempre più accessibile alle persone con disabilità. Dai trasporti agli edifici, ecco come è cambiata nel corso del tempo.
Nell’immaginario collettivo, Tokyo ha la fama di essere una metropoli futurista. Grattacieli, un efficientissimo sistema di trasporti pubblici, tecnologia diffusa. Ma in questo sistema apparentemente impeccabile, è lecito domandarsi come la capitale giapponese, negli anni si sia organizzata per venire incontro a cittadini e turisti con disabilità. Un interrogativo che si fa ancora più urgente con l’inizio delle Paralimpiadi. La Bbc ha provato a trovare una risposta nelle storie di alcuni residenti sulla sedia a rotelle.
Meno barriere architettoniche ma lo stigma della disabilità resta
La 32enne Mizuki Hsu ha coniato per se stessa un curioso soprannome, Moon Rider. Lo pseudonimo perfetto per chi, come lei, nonostante la sedia a rotelle, non ha messo da parte la passione per i viaggi. Nei suoi giri attorno al mondo, non ha mai incontrato difficoltà insormontabili: soprattutto nelle città, infatti, nonostante la calca di gente che riempie le strade, sono state diverse le persone che si sono fermate a darle una mano quando necessario. Sul Giappone e le misure adottate per facilitare la quotidianità delle persone con disabilità ha un’idea precisa. Dal 2013, anno in cui è stato scelto per ospitare i giochi olimpici, il Paese si è impegnato nell’abbattimento delle barriere. Nonostante questo, però, lo stigma della disabilità rimane un problema serio. «La strada verso l’inclusione è lunga. Nella vita di tutti giorni, quando sono per strada o in un negozio, sento ancora lo sguardo degli altri su di me», ha raccontato alla Bbc. «Spesso, poi, mi capita addirittura di incontrare estranei che si permettono di dirmi che sono patetica».
Scuole e asili spesso senza ascensore
Cresciuta a Kyoto e privata dell’uso delle gambe a causa di una misteriosa malattia, Hsu ha dovuto affrontare sin da bambina sfide difficili. «Mia mamma pensava che avrei avuto bisogno di qualcuno che mi accompagnasse ovunque», spiega. Non è stato così ma imparare ad adattarsi a una realtà disseminata di ostacoli non è stato semplice. Vista la densità demografica, l’architettura, a Tokyo, più che in lunghezza, si è sviluppata in altezza. Qualsiasi edificio, dunque, compresi gli ospedali, ha più piani, fatto che può rendere determinati servizi inaccessibili a chi è affetto da problemi motori. È il caso di Mizuki che, nei primi Anni 90, si è trovata a frequentare una scuola priva di ascensori e con classi distribuite su più livelli. «Dovevo salire e scendere le scale da sola», ha spiegato. «Questo significava arrampicarsi al corrimano e fare forza sulle braccia». Per ogni piano, i genitori avevano predisposto una carrozzella, in modo da farle vivere l’esperienza scolastica in tranquillità. Vent’anni dopo, però, da genitore, ha fatto i conti con lo stesso problema. Trovare un asilo che le permettesse di accompagnare i figli in classe è stato quasi impossibile perché la maggior parte delle strutture aveva solo scale o rampe eccessivamente ripide. «È stato complicato ma, per fortuna, siamo riusciti a trovare una soluzione. Lo staff della scuola materna è davvero disponibile, il problema è che rimane un caso isolato».
Fondi statali per accompagnatori e sedia a rotelle
Completamente diversa, invece, la prospettiva del 40enne Josh Grisdale. Il suo amore per il Giappone è nato nel 2000, per caso, durante una gita a cui era stato spinto a partecipare da uno dei suoi insegnanti. Quel viaggio lo ha fatto innamorare dei paesaggi e della cultura del posto al punto che, dopo aver imparato la lingua, ha deciso di trasferirsi a Tokyo nel 2007. Nel 2016, all’età di 35 anni, è diventato ufficialmente cittadino giapponese, rinunciando al passaporto canadese. Prima di intraprendere l’iter, era turbato dall’idea che essere disabile potesse ostacolarlo, ma il feedback che ha ricevuto dalle istituzioni lo ha piacevolmente sorpreso. «Siamo abituati a sentire storie orribili di persone che, nel tentativo di emigrare in America o in Canada, si vedono negare il permesso per il solo motivo di aver bisogno di appoggiarsi al sistema sanitario. Nessuno mi ha mai chiesto nulla sulla mia disabilità e penso sia fantastico». Grisdale, che oggi si occupa di gestire il blog di viaggi Accessible Japan, ha potuto usufruire del sistema assistenziale sin dalla registrazione. E, dopo aver verificato che il quartiere scelto, Edogawa, sarebbe stato in grado di venire incontro ai suoi bisogni, gli è stato rilasciato un ‘documento di disabilità’ simile a un passaporto con l’elenco di tutte le sue esigenze. Ma non è tutto. Ha ricevuto anche fondi per lo stipendio degli accompagnatori e per l’acquisto di beni di prima necessità come la sedia a rotelle.
Check out Accessible Japan’s founder @JoshGrisdale in the new We The 15 campaign!#TEAMCocaCola#WeThe15https://t.co/Oex9fpka8A
— Accessible Japan (@AccessibleJapan) August 25, 2021
Il nodo del lavoro e il sistema delle quote per chi è affetto da disabilità
Tra le questioni più delicate il lavoro rimane, sicuramente, in pole position. Nel mondo, il tasso di occupazione delle persone con disabilità tende a essere basso, nonostante diverse siano state le soluzioni proposte. La più comune è quella adottata in Giappone e vede l’istituzione di un sistema di quote. Se un’azienda presenta oltre il 43,5 per cento di impiegati, il 2,3 per cento di posti di lavoro dev’essere assegnato a soggetti con disabilità. Chi rispetta le regole ottiene dei bonus. Chi non lo fa è multato. Davanti a questa prospettiva, c’è chi approva la prescrizione, vedendola come segno di apertura, e c’è chi la critica, considerandola l’ennesimo strumento di discriminazione verso professionisti che dovrebbero essere valutati per le competenze e non per la loro condizione fisica. Secondo Hsu, quello delle quote potrebbe essere un provvedimento efficace ma non miracoloso: «Ho fatto tantissimi colloqui nel corso della mia carriera. Alcune aziende mi hanno chiesto il passaporto di disabilità per capire se darmi una chance o meno in base ai miei bisogni. Le quote potrebbero aiutare, certo, ma non so quanto. Ancora oggi, continuano a esistere mestieri creati ad hoc per persone affette da disabilità, che richiedono competenze limitate e, di conseguenza, assicurano stipendi molto più bassi rispetto alla media». Hsu e Grisdale sono riusciti a trovare un posto di lavoro adeguato ma, secondo il secondo, è eccessiva la pressione subita dalle società.
Trasporti per tutti: dalle stazioni ferroviarie agli ascensori accessibili
Per quanto riguarda i trasporti, nel 2013 il Giappone aveva preso l’impegno di renderli accessibili a tutti. Non erano solo promesse legate all’entusiasmo di ospitare le Olimpiadi. Il 96 per cento delle stazioni ferroviarie è diventato accessibile a chiunque e le rampe semplificano i viaggi in treno a chi, per muoversi, si appoggia a un supporto. L’unico vulnus rimane quello dei treni superveloci, nei quali la prenotazione di uno spazio per la carrozzella richiede almeno uno o due mesi di anticipo rispetto alla partenza. Dettaglio che, spesso, spinge le persone con disabilità a optare per l’aereo, molto più pratico e organizzato. E per quanto riguarda le scale? Anche quest’ostacolo è stato aggirato con il brevetto di un “ascensore accessibile” che, unendo tre gradini di una scala mobile, crea una piattaforma dove la sedia a rotelle si posiziona senza perdere l’equilibrio. L’integrazione della comunità disabile giapponese passa anche attraverso la politica. Nel 2019, infatti, sono stati eletti in Parlamento Yasuhiko Funago e Eiko Kimura, entrambi assistiti da un careworker. A gennaio 2021, Funago ha partecipato a una seduta grazie alla predisposizione di una rampa. Prima di quel momento, si era sempre affidato a un membro dello staff per qualsiasi votazione. «È stata una giornata importante», ha sottolineato in un comunicato, «Mi sono emozionato all’idea di poter esprimere direttamente il mio voto e le mie opinioni».