Tim, rete unica, offerta Kkr e controfferta Cdp: a che punto siamo

Elisa Serafini
06/03/2023

Dopo una prima avance respinta dal governo, Cdp e Macquarie tornano alla carica con un'offerta da 18 miliardi sulla rete dell'ex monopolista, che si affianca a quella degli americani di Kkr. Ma nell'esecutivo c'è confusione, Mef e Mimit sembrano andare su strade opposte. E Meloni non ha ancora chiaro come uscire dall'impasse. Gli scenari.

Tim, rete unica, offerta Kkr e controfferta Cdp: a che punto siamo

C’è una delicata vicenda industriale, i cui ingredienti principali sono: 20 miliardi di euro di debiti, un ex monopolista italiano, un monopolio naturale, un fondo americano e tanta politica.
 Non si tratta della vicenda Alitalia, ma di quella di Tim, il colosso della comunicazione che, da oltre due anni, è oggetto di una trattativa per un’importante operazione societaria che porterebbe alla creazione di una rete unica. E che ha appena registrato un’importante evoluzione con l’offerta di Cassa depositi e prestiti. Che però, invece di semplificare, rischia di complicare ulteriormente la situazione. Offerta annunciata e che a un certo punto al Mef, di cui Cassa è emanazione operativa, devono aver considerato un atto dovuto. Specie dopo che la trattativa tra via XX Settembre e gli  americani di Kkr si era arenata sulle problematiche antitrust e sulle garanzie che gli americani avevano messo come condicio sine qua non per fare l’operazione. Ed è proprio dall’esecutivo che arrivano le maggiori turbolenze, perché c’è l’impressione che si vada in ordine sparso, che tra Mef e Mise (il ministero dello Sviluppo ribattezzato Mimit che fa capo ad Adolfo Urso) incomprensioni e sgambetti siano all’ordine del giorno. E che Palazzo Chigi, al di là delle reiterate dichiarazioni sulla volontà di pubblicizzare la rete Tim (alias nazionalizzare, ma il verbo sembra brutto e allarma Bruxelles), non abbia ancora chiaro come procedere. Alla luce anche della presenza, ora silente, di un socio di riferimento francese, Vivendi, il cui atteggiamento è comunque imprescindibile alla soluzione dell’intricata matassa.

Il principio: Tim, Open Fiber e il progetto di AccessCo

Ma riavvolgiamo il nastro. Nel 2020 nacque l’idea che l’unità di infrastrutture di rete di Tim, FiberCop, potesse fondersi con l’operatore di accesso in fibra Open Fiber per creare un’unica entità nazionale denominata AccessCo. L’ambizione maturò a seguito della cessione di una parte di quote di FiberCop alla società di private equity Kohlberg Kravis Roberts (Kkr), con Tim che, all’epoca, mantenne una quota del 58 per cento e Fastweb una fetta del 4,5 per cento. Tim all’epoca aveva intenzione di preservare il controllo della società, in contrasto con le ambizioni del fondo Kkr che lanciò un’offerta (fallita) per acquisire l’intera Tim per 10,8 miliardi di euro. All’epoca il debito di Tim si assestava intorno ai 20 miliardi di euro. Tim riuscì a “resistere” all’offerta e pianificò la scissione dell’azienda in due entità separate (una ServCo e una NetCo) e la fusione di FiberCop con Open Fiber, con l’accordo che Tim non sarà in grado di mantenere una partecipazione di controllo nell’entità risultante dalla fusione.

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George Roberts e Henry Kevin del fondo Kkr.

Il memorandum tra Cdp Equity e i fondi del 2022

In mezzo, però, ci sono stati una pandemia, due cambi di governo e una certa confusione sui mercati. Nella primavera del 2022 è emersa una nuova strada: la firma di un accordo non vincolante per il progetto di integrazione. Lo scopo del memorandum era quello di avviare un processo finalizzato alla creazione di un unico operatore di rete di telecomunicazioni non verticalmente integrato, controllato da Cdp Equity (società di Cassa depositi e prestiti) e partecipato dai fondi Macquarie e Kkr, che accelerasse la diffusione delle infrastrutture in fibra ottica. Cdp già allora possedeva il 40 per cento di Open Fiber e il 10 per cento di Tim. 
L’accordo del 2022 prevedeva che Cdp Equity potesse controllare AccessCo (la nuova compagnia unica), mettendo a disposizione di tutti gli operatori gli asset dell’azienda, che agisce, di fatto, in un monopolio naturale, quello delle infrastrutture di rete, e che dovrebbe – per questo – essere monitorata e vigilata.

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La sede di Cassa depositi e prestiti.

Il blitz del 2023: il fondo Kkr e l’ostilità del governo Meloni

Poche settimane fa il fondo Kkr, già firmatario del memorandum, ha presentato un’offerta non vincolante da 20 miliardi, ma la rete unica è diventata, ormai, un tema politico, e lasciare che l’ex monopolista italiano diventi “americano” non sembra essere nel dossier del governo Meloni, che preferirebbe una compagnia a guida statale, o para statale, con l’intervento (consueto) di Cdp, che ha atteso diverse settimane ma alla fine ha dato il via libera il 5 marzo per la presentazione di una contro offerta assieme al fondo Macquarie, con una proposta leggermente inferiore di quella degli americani, 18 miliardi contro 20. Ora resta da vedere come reagiranno dalle parti di Vivendi, primo azionista di Tim, che chiedeva 31 miliardi, mentre si potrebbe accendere il faro dell’Antitrust Ue, visto che Cdp e Macquarie sono anche azionisti di Open Fiber, concorrente di Tim proprio sulla rete. Dal canto suo, l’amministratore delegato di Tim Pietro Labriola ha più volte dichiarato che non risulterebbe strategico, per la compagnia, mantenere quote di maggioranza nella nuova società, su cui pesa un debito di quasi 25 miliardi.

Tim sotto pressione di Kkr
Pietro Labriola. (da Youtube)

FiberCop e Open Fiber: rete fissa, fibra e ricavi

Attualmente, FiberCop è la più sviluppata tra le operazioni anche perché possiede la rete fissa di Tim come parte del suo portafoglio: la sua rete attuale fornisce connettività fissa “ultra-broadband” a più del 94 per cento delle linee fisse. Nel 2021 ha generato ricavi per quasi 1 miliardo di euro. Open Fiber, costituita nel 2015, si è sempre concentrata sulle linee in fibra (più alcune connessioni di accesso wireless fisso) e ha superato 13,8 milioni di abitazioni con la sua rete: i ricavi ammontano a 380 milioni di euro nel 2021.

Il futuro: sarà la politica, e non il mercato, a decidere

In questo dossier pesano diversi elementi politici, economici e industriali: la necessità di promuovere il libero mercato, in un contesto di monopolio naturale, il desiderio di Meloni di mantenere l’ipotetica rete unica sotto un cappello italiano (meglio ancora se statale), ma anche il pesante debito di Tim e il contesto macroeconomico odierno. Il migliore degli scenari prevede che l’Italia possa sviluppare una rete nazionale in fibra ottica che possa sostenere la nostra economia, e che, al tempo stesso, Tim possa liberarsi del pesante debito attraverso la cessione delle sue partecipazioni, concentrandosi sulla parte consumers e servizi delle proprie attività. Ma sarà la politica, probabilmente, e non il mercato, come è spesso accaduto in Italia, a decidere.