Come finirà l’intricata partita sui destini di Tim? Basta chiederlo a Gianluca Ricci e Roberto Sambuco. Manager dell’ex monopolista delle telecomunicazioni o Cassa depositi e prestiti? No. Entrambi di Macquarie, ossia il fondo australiano soprannominato “The Millionaire Factory“, la fabbrica di milionari. In Italia è attivo da quasi 20 anni offrendo consulenza ai clienti, sostenendo il trading di materie prime, impiegando capitali e investendo in infrastrutture di trasporto, digitali ed energetiche.

Ricci e i rapporti con Aspi e Open Fiber
Ricci è managing director della attivissima divisione asset management italiana e guida la società negli investimenti in Italia nelle infrastrutture e nelle energie rinnovabili. È anche responsabile della revisione delle opportunità di investimento, dell’engagement con i principali stakeholder e della gestione dell’attuale portafoglio di investimenti di Macquarie, tra cui Aspi (la società delle autostrade passata dai Benetton a Cassa depositi) e Open Fiber. Laureato alla Bocconi in economia e legislazione per l’impresa, ha iniziato la carriera in Credit Suisse rimanendoci per nove anni e ricoprendo anche la carica di vicepresidente. Nel 2010 è approdato in Deutsche Bank, dove è stato managing director, prima head of Mergers & Acquisitions Italy, poi cross border Emea Apac. Dal 2018 al 2020 è stato managing director di Hsbc per poi passare, fino alla recente nomina in Macquarie, a Cdp Equity come head of investments and equity portfolio management. Era il numero due di Pierpaolo Di Stefano, che dopo aver lasciato l’ente di via Goito la scorsa estate è ora diventato manager di punta di Deutsche Bank.

Sambuco è stato allo Sviluppo economico con tre governi
Sambuco, invece, proviene da Vitale&Co, di cui era partner, e porta con sé oltre 25 anni di esperienza nel corporate finance e nel settore industriale come manager pubblico e privato. Ha guidato diverse operazioni di Mergers & Acquisitions di alto profilo per aziende come la stessa Tim, Cdp, Sia, WeBuild, Metroweb-Open Fiber, Italgas, così come per importanti fondi infrastrutturali e società di private equity. Non conosciuto dal grande pubblico, ma conosciutissimo tra gli addetti ai lavori, è il nome da tenere sempre in mente quando si parla di Tim. La sua carriera è iniziata come assistente parlamentare di Marco Taradash agli albori della Seconda Repubblica e continuata nell’ambito delle telecomunicazioni tra pubblico e privato (Agcom, manager in Wind). È stato capo dipartimento per le Comunicazioni del ministero dello Sviluppo economico dal 2009 al 2015, professionista trasversale capace di passare indenne tre governi: quelli di Silvio Berlusconi, poi Mario Monti, quindi Enrico Letta, per cui ha curato il piano per la banda larga. Vanta ancora adesso solidi legami con Franco Bassanini, politico di lungo corso poi grand commis di Stato.

Regista della scalata di Elliott, è vicino a Gubitosi
Nella partita per il riassetto delle tlc Sambuco si trova a occupare una posizione strategica. Regista della scalata di Elliott a Telecom, è anche vicino a Luigi Gubitosi, di cui si dice abbia favorito la nomina ad amministratore delegato del gruppo. Insomma, si tratta di due manager che conoscono perfettamente il mondo Tim. E come sempre tutto ruota, ancora una volta, sullo scorporo della rete. Per motivi che sono ben comprensibili, sia sotto il profilo politico sia economico. Lungo questa traiettoria, Elliott aveva incassato una benedizione da parte del governo che puntava a una società unica (e pubblica) della rete. Tanto per ricordare, l’ex ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio spiegò in un’intervista che il governo voleva creare le condizioni per dare vita a un player unico per la banda larga attraverso la fusione tra Tim e OpenFiber. Pochi giorni dopo il cda di Telecom, a trazione Elliott, licenziò l’amministratore delegato Amos Genish, “superstite” della gestione Vivendi e frenatore della cessione della rete.

L’acquisto essenziale da parte di Open Fiber di Metroweb
Ma in tutto questo cosa c’entra Macquarie? C’entra eccome. Sambuco è l’uomo che, con Vitale & Associati, ha curato l’ideazione e realizzazione della campagna attivista del fondo Elliot su Tim. Pochi però ricordano che, sempre con lo studio Vitale, ha fatto da regista anche all’altra operazione essenziale perché il progetto della grande rete unica fosse possibile, ossia l’acquisto da parte di Open Fiber di Metroweb tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Open Fiber, è bene ricordarlo, nasce come joint venture tra Enel e Cassa depositi e prestiti fortemente voluta dall’allora premier Matteo Renzi proprio in chiave anti Vivendi. Un altolà a Vincent Bolloré e alle sue mire espansionistiche in Italia, che però ha finito per generare un pasticcio con Cdp che si trovava contemporaneamente a essere azionista di due società tra loro in concorrenza, Oper Fiber e Tim. Nodo che proprio il progetto di nazionalizzazione della rete propugnato dal governo di Giorgia Meloni vorrebbe sciogliere.

Sambuco si era trovato al centro di entrambe le operazioni, potendo contare anche sul ottimo rapporto con Bassanini, all’epoca presidente di Cdp. Il caso Tim è adesso arrivato a un bivio: la nazionalizzazione avverrà procedendo allo scorporo e alla vendita della rete o attraverso una scissione societaria? La prima strada è la più veloce e permetterebbe di chiudere la partita in tempi brevi. La seconda opzione invece è quella più gradita da Vivendi, azionista di riferimento di Tim. Ma la sua complessità rischia di far slittare ancora scelte e soluzioni.
Il governo ha chiesto la tutela dell’occupazione
Il pallino è ovviamente nelle mani del governo, che ha posto come punto imprescindibile la tutela dell’occupazione. Ma è ovvio che qualunque sia la scelta per Tim, l’imprescindibile contenimento dei costi dovrebbe passare per una riduzione del personale. In quali termini però è ancora tema di discussione. I francesi di Vivendi punterebbero alla scissione di Netco, con la società infrastrutturale che si ritroverebbe ad avere lo stesso azionariato di Tim a quel punto divenuta società di servizi. Si tratta di una opzione valutata e ancora sul tavolo, ma che comporterebbe un problema nella gestione del debito per una delle due società nate dalla scissione. Più percorribile e sicuramente più veloce l’ipotesi che ricalca in sostanza l’operazione immaginata ai tempi del Memorandum of Understanding siglato tra Cdp, Tim e Macquarie: cioè l’acquisto di Netco da parte di Cassa depositi e prestiti e del gruppo australiano. Questo perché le valutazioni sulla società infrastrutturale erano già state effettuate dai due potenziali acquirenti. In questo modo peraltro l’equity incassato da Tim permetterebbe di abbattere il debito della società di servizi e quindi di salvaguardare i livelli occupazionali.

L’ipotesi dell’acquisto del 100 per cento di Netco
Quanto alla dinamica dell’operazione, l’ipotesi alla quale si sta lavorando con maggiore convinzione prevederebbe l’acquisto del 100 per cento di Netco, ma potrebbe anche prendere corpo l’ipotesi di far restare Tim azionista della società infrastrutturale, così da farla partecipare al possibile incremento di valore. Come noto, la valutazione della quota da acquisire dovrebbe essere superiore ai 15-16 miliardi inizialmente ipotizzati. Tra i nodi da sciogliere c’è poi quello di Sparkle, che per i suoi 600 mila chilometri di rete internazionale è considerata strategica dall’attuale governo, che potrebbe confluire interamente nel perimetro di Cdp mentre il resto di Netco verrebbe acquistato da un veicolo partecipato da Macquarie ma controllato dalla Cassa.
Da valutare anche il ruolo del fondo americano Kkr
Infine, come non fossero già abbastanza gli attori sulla scena, c’è da valutare anche il ruolo di Kkr. Il fondo americano si sarebbe ancora proposto di rilevare la maggioranza assoluta della rete Tim, sapendo che è entrata in FiberCop pagando 1,8 miliardi per il 37,5 per cento. FiberCop rientra nel perimetro di Netco e in caso di cessione Kkr dovrebbe scegliere se incassare la parte relativa alla sua quota o investire a sua volta nella nuova società della rete separata. In questo caso, i soci della rete unica sarebbero alla fine e sempre che non compaiano altri soggetti tre o quattro: Cdp, Macquarie, Kkr e Tim. Per favorire la soluzione il governo è pronto a mettere sul piatto una serie di incentivi al settore tlc (in primis una drastica riduzione dell’Iva) che dovrebbe convincere i riluttanti soci francesi ad accettare una valutazione della rete inferiore alle aspettative (si parla di 20 miliardi contro i 25 richiesti). Basterà tutto questo per chiudere il complicatissimo puzzle?