Tikhanovskaya, la Guaidó bielorussa

Stefano Grazioli
01/05/2021

Come il leader venezuelano poi eclissato, anche l'oppositrice in esilio gode dell'appoggio dell'Occidente. Un sostegno in chiave anti-Putin che però non basterà a trasformarla in un'alternativa a Lukashenko.

Tikhanovskaya, la Guaidó bielorussa

Le elezioni presidenziali bielorusse le avrebbe vinte lei, se non fossero state truccate. Spesso e volentieri nei Paesi dell’ex Unione sovietica vale il vecchio adagio staliniano per cui non è importante come vengono contati i voti, ma chi li conta. Ed è così che Svetlana Tikhanovskaya è finita in esilio a Vilnius, marchiata come golpista, mentre in Bielorussia il presidente è ancora Alexander Lukashenko, in carica dal 1994, confermato appunto lo scorso 9 agosto in una tornata elettorale che il mondo occidentale, cioè Europa e Stati Uniti, non hanno riconosciuto. La realtà è però che a Minsk comanda adesso chi lo faceva prima e l’opposizione non c’è più, finita in prigione o costretta alla fuga.

Tikhanovskaya accolta a Montecitorio

In questo braccio di ferro anche l’Italia gioca la sua parte. Il 29 aprile, infatti,  Tikhanovskaya è stata accolta a Montecitorio ed è stata in audizione alla commissione Esteri, incontrando non solo il presidente della Camera Roberto Fico ma anche una delegazione Pd guidata da Enrico Letta. Il nostro Paese getta così un guanto di sfida a Vladimir Putin che, seppur turandosi il naso, ha appoggiato Lukashenko.

L’impegno del Pd contro “il regime”

“Tutto il Partito Democratico“, si legge in una nota dem, “si è detto vicino alla donna, simbolo della resistenza democratica e leader dell’opposizione bielorussa, e al fianco del popolo bielorusso per la libertà, la democrazia e i diritti civili”. Durante l’incontro, continua il comunicato, “si è discusso di quali iniziative il Partito democratico può farsi carico per aiutare concretamente la lotta del popolo bielorusso verso una transizione democratica dall’attuale regime”. Il Pd si è “anche impegnato a chiedere nuove elezioni, a sostenere la richiesta di sanzioni individuali e il rilascio di tutti i prigionieri politici da parte di Lukashenko, in sede Ocse, Consiglio d’Europa e in tutte le sedi europee e internazionali”.

 

Le tre sfidanti di Lukashenko

Tikhanovskaya faceva parte del trio di donne che per forza di cose avevano tentato di sfidare Lukashenko. Insieme con Maria Kolesnikova e Veronica Tsepkalo nell’estate del 2020 aveva preso il posto di suo marito come candidata alle Presidenziali, esattamente come aveva fatto Veronica, mentre Masha aveva sostituito il banchiere filorusso Victor Babariko, di cui era la responsabile della campagna elettorale. Gli uomini erano finiti in carcere, le donne avevano portato tanta gente in piazza. Molta, come forse non se ne era mai vista in Bielorussia negli ultimi 10 anni; gente stufa di un regime e di un presidente che volevano mandare in pensione, ma che alla fine non si è schiodato.
Le proteste durate mesi non hanno avuto successo, la spallata non c’è stata, il sistema Lukashenko ha retto, appoggiato sui pilastri di un apparato militare e amministrativo solido e con la stampella fondamentale della Russia. Dieci mesi dopo il voto la Bielorussia pare stabile come prima, i coniugi Tsepkalo sono all’estero, Kolesnikova e Babariko dietro le sbarre a Minsk e Svetlana Tikhanovskaya dal suo esilio lituano continua la sua battaglia da presidente in pectore, mentre il marito blogger Sergei è sempre nelle patrie galere.

Tikhanovskaya durante una manifestazione a Ginevra (Getty Images).

La Guaidó della Bielorussia

La sua storia assomiglia a quella di Juan Guaidó in Venezuela, lo sfidante di Nicolas Maduro che più di due anni fa si autoproclamò presidente con il supporto di Stati Uniti ed Europa ed ora è sparito dalla circolazione mentre a Caracas la legge la detta ancora il vecchio presidente. La latitudine è differente, ma i paralleli tra Venezuela e Bielorussia sono evidenti. E non fanno certo ben sperare per il duello, più mediatico che altro, che Tikhanovskaya ha ingaggiato con Lukashenko, almeno sul breve e medio periodo.
Non solo l’autocrate a Minsk, ma anche Vladimir Putin, con il suo supporto interessato, non hanno lasciato spazio a un possibile dialogo, partendo dal fatto che nei possibili scenari bielorussi per un post Lukashenko, una candidata del genere non viene presa nemmeno in considerazione, non fosse altro per il fatto di come è stata catapultata nell’agone politico e soprattutto da chi è stata adottata come alfiere dell’opposizione antiregime. E qui si entra nel grande gioco geopolitico che coinvolge Russia e Stati Uniti come attori principali del duello sulla scacchiera europea.

L’assist mediatico di Viachorka

A Putin Lukashenko non piace, ma è quello che passa il convento bielorusso. Il Cremlino non avrebbe sgradito Babariko (legato a Gazprom) per un’eventuale transizione, ma a Minsk decide ancora il baffuto presidente, che ha preferito far piazza pulita e puntare ancora su se stesso. Gioco rischioso, che per ora ha comunque funzionato. Russia e Bielorussia non lascerebbero però mai spazio agli Usa e Tikhanovskaya è proprio il cavallo su sui ha puntato Washington. Basta guardare chi è il braccio destro dell’insegnante di inglese prestata alla politica, che da mesi la sta scarrozzando per le cancellerie occidentali, istituzioni interazionali e le cura sostanzialmente l’immagine e la promozione mediatica: Franak Viachorka.
Figlio di un politico d’opposizione morto nel 2007, Franak, nato nel 1988, è un giovanotto intraprendente, ex leader del movimento giovanile guidato da suo padre, il Fronte popolare bielorusso, legato con doppio se non triplo filo agli Stati Uniti, dove si è formato e ha iniziato la sua carriera nel mondo dei media, da Radio Free Europe alla US Agency for Global Media, dove è tutt’ora, in sostanza il braccio armato di Washington nella infowar mondiale. Insomma la coppia Tichanovskaya-Viachorka può guadagnare simpatia e spazio virtuale in Occidente, non è però una controparte realistica quando Putin e Lukashenko discutono del futuro prossimo della Bielorussia.