Sarà la magistratura ad accertare le responsabilità del terribile incidente stradale che il 14 giugno scorso è costato la vita a un bambino di 5 anni sulle strade di un quartiere alla periferia ovest di Roma. Quello che di sicuro si sa è che su una delle macchine coinvolte viaggiava un gruppo di giovani youtuber romani, noti come TheBorderline che stavano realizzando una challenge, cioè una sfida. Il loro obiettivo era trascorrere 50 ore su un SUV Lamborghini preso a noleggio e raccontare poi questa avventura in un video da diffondere sul loro canale Youtube. TheBorderline sono giovanissimi, ma non neofiti o sprovveduti, il loro canale conta 600 mila iscrizioni, più di 100 video, il più visto dei quali, a oggi, ha più di 4 milioni di visualizzazioni.
The Borderline, imitatori di successo di MrBeast
La sfida di passare più di due giorni consecutivi a bordo di un’automobile era un’impresa che avevano compiuto già un anno fa su una 500 e poco dopo al volante di una Tesla. «Gli Youtuber più assurdi d’Italia», così venivano presentati per le loro sfide, talvolta palesemente innocue, talvolta ironiche e talvolta, come ha dimostrato il tragico incidente stradale, potenzialmente rischiosissime. La loro popolarità era in crescita, tanto che lo scorso primo giugno un brand come Sony Italia li aveva scelti come testimonial, realizzando un video promozionale pubblicato sui social. Peraltro nelle ore successive all’incidente, nessuno, con una agghiacciante scelta politica aziendale, ha pensato di rimuovere il post promozionale. «I prodotti Sony ci permettono di girare in tutte le condizioni, anche quelle più estreme», spiegava uno del gruppo. Ed estremo è un termine che dovremmo iniziare a guardare con molto sospetto. Il modello dichiarato dei giovani è l’americano Jimmy Donaldson, alias MrBeast, uno degli youtuber più popolari al mondo: 25 anni, 160 milioni di iscritti al suo canale e un fatturato (stimato da Forbes) che si aggira intorno ai 30 milioni di dollari all’anno. Molte delle challenge proposte dai TheBorderline erano la copia carbone di quelle di MrBeast come quella di affrontare lunghi periodi in situazioni difficili o “estreme”.

La tecnica non è neutrale, e nemmeno la tecnologia
I social, e non lo sappiamo da oggi, invitano all’emulazione e il gruppo di giovani romani non sono che imitatori di successo. Al di là delle eventuali responsabilità dei TheBorderline, è però il momento di chiedersi (con colpevole ritardo) se le piattaforme social, qualsiasi esse siano, siano davvero innocenti. Il filosofo Emanuele Severino sosteneva che la tecnica non è neutrale. Questo oggi vale anche per la tecnologia. I social network amano definirsi oasi di libertà di pensiero, ma non sono “neutrali”, consentono la condivisione di contenuti pericolosi, tossici che portano a campagne d’odio e di emulazione. I filtri ci sono, ma sono molto permeabili. Ci si nasconde dietro la libertà di espressione che peraltro, in Paesi come l’Italia, ha dei limiti di legge ben codificati. C’è poi un altro alibi: vista la quantità di contenuti pubblicati un controllo a tappeto è impensabile. Un po’ come se Coca-Cola dicesse che, vista la quantità di bibite prodotte, è impossibile verificare l’esistenza di lotti avvelenati.
Le accuse Onu per l’istigazione all’odio nei confronti dei Rohingya
I social sono stati anche definiti “strumento di morte”. Lo ha sostenuto l’Onu quando nel 2018 accusò Facebook di non essere intervenuto per fermare la campagna d’odio che ha colpito i musulmani Rohingya in Birmania portando a massacri con centinaia di vittime e a un esodo forzato di 650 mila persone. Le forze armate birmane diffondevano sistematicamente contenuti sui social che prendevano di mira la minoranza religiosa del Paese, alimentando odio e azioni violente. Alcuni giuristi americani hanno sostenuto che Facebook avrebbe dovuto essere processato per istigazione al genocidio, non diversamente dagli industriali tedeschi che fornivano il gas che uccideva gli ebrei nei campi di sterminio. Un rapporto dell’Unesco del 2017 sull’estremismo politico-religioso, in particolare dei giovani, aveva già affermato che «i social media sono uno strumento strategico per fomentare comportamenti violenti».

Il cibo come ossessione: da waffler69 a Omar Palermo
Ma senza andare a guardare i grandi scenari politici o i movimenti di fanatici, le reti sociali sono anche un veicolo di comportamenti “estremi” che vengono diffusi e imitati. Lo scorso gennaio è morto per attacco cardiaco, a soli 33 anni, Taylor LeJeune, detto waffler69, che dalla sua casa della Louisiana era diventato famoso sulla piattaforma social cinese TikTok perché si esibiva in video in cui mangiava qualsiasi cibo, anche il più disgustoso. Tra le sue prodezze, anche qui “estreme”, un pasto a base di un prosciutto in scatola risalente agli Anni 60. La necessità di farsi notare, a tutti i costi, porta a trasformare un’attività naturale come il mangiare in qualcosa di pericoloso. TikTok come Youtube raccoglie innumerevoli video di “mukbang”, la moda, nata in Corea del Sud, di filmarsi mentre si mangia. La ricerca dell’estremo sta in questo caso nel mangiare il più possibile in vere e proprie orge di cibo. In Italia Omar Palermo con il suo canale YouTubo anche io era diventato famoso per i suoi pasti esagerati. In un video lo si vede mangiare 43 barrette di cioccolato di seguito. È morto a 42 anni, stroncato da un infarto, mentre si trovava in una clinica per la riabilitazione. Ma ovviamente non c’è solo il mukbang, ci sono anche influencer o sedicenti tali che promuovono diete radicali, prodotti medici o naturali o allenamenti sfiancanti per perdere peso. L’ultima moda è quella di assumere un farmaco contro il diabete per smaltire il grasso superfluo. Un trend così diffuso che negli Stati Uniti ha causato la carenza della medicina. Si legge nelle controindicazioni del prodotto: «Può causare il tumore alla tiroide». Una ricerca realizzata su un campione di giovani in Australia e pubblicata sull’International Journal of Eating Disorders ha rilevato comportamenti alimentari disordinati (non necessariamente patologici) nel 75,4 per cento delle ragazze e nel 45 per cento dei ragazzi collegandoli ai social network, in particolare a quelli con contenuti video. La body positivity, l’accettazione del proprio corpo, che oggi ha anche una testimonial nella pop-star Lizzo è solo uno slogan. Nei giorni scorsi il Washington Post ha pubblicato un articolo sulla Generazione Z, quella dei giovanissimi di oggi, e la loro passione per la chirurgia estetica. Titolo: «Una volta la chirurgia plastica era un segreto. Oggi è un ottimo contenuto».

Autolesionismo e challenge pericolose diventano virali
In Rete si trovano anche video virali che promuovono condotte autolesioniste tanto folli, quanto letali. Nel 2021 la polizia inglese, indagando sullo stato di salute di alcune giovanissime ha scoperto una comunità online di ragazzine che si davano consigli su come togliersi la vita. In Giappone dove il suicidio giovanile è una piaga sociale (499 suicidi tra ragazzi e ragazze in età scolare nel 2020) sono spesso state individuate comunità social in cui i giovani dichiarano la volontà di farla finita. Nel dicembre 2020 una ragazza di Nagoya, accusata dai suoi contatti online di “non fare sul serio”, si è gettata dal tetto di un hotel nel centro della sua città. Ha compiuto il gesto mano nella mano con una sua amica. Da ricordare anche la famigerata “blackout challenge” diffusasi un paio d’anni fa a partire da TikTok che promuoveva tecniche per perdere coscienza e che secondo alcune fonti avrebbe causato decine di morti e probabilmente centinaia non rilevate. Youtube informa che da ottobre a dicembre 2022 sono stati rimossi 74.034 video dal contenuto pericoloso. Ma sulla piattaforma vengono caricati mediamente 2.500 video al minuto. Su TikTok vengono visualizzati più di un miliardo di video al giorno. Il volume diventa l’alibi maggiore per la condotta di questi media che controllano ormai la nostra informazione, i nostri gusti e le nostre vite. Di fronte a una tecnologia che finge di essere neutrale è forse il momento di chiedersi se noi vogliamo rimanere neutrali di fronte alla tecnologia.