Le maratone su Twitter, il contro-dibattito in solitaria per rispondere al confronto Giorgia Meloni–Enrico Letta ospitato su Corriere.it e persino la scelta (strategica?) di mantenere defilato Matteo Renzi, dai manifesti elettorali alle ospitate tivù, alla fine non ha pagato. Il leader di Azione Carlo Calenda ha fallito l’obiettivo del 12-13 per cento che si era prefissato. Non solo, ma il Terzo polo, che a conti fatti terzo non è, non raggiunge neppure la doppia cifra e si ferma sotto l’8 per cento. La fantomatica agenda Draghi, che Azione e Italia viva insieme hanno ostinatamente continuato a sbandierare persino dopo che il diretto interessato ne avesse categoricamente negato l’esistenza, non ha sfondato. Neppure declinarla come metodo, in effetti, ha scaldato il cuore degli elettori. Non solo, ma è stata l’intera strategia messa in campo dall’ex ministro dello Sviluppo economico ad avere miseramente fallito. Continuare a sperare in una vittoria dimezzata del centrodestra per riportare Draghi al timone di Palazzo Chigi, nonostante l’ex presidente della Banca centrale europea avesse ribadito in tutte le occasioni possibili la sua indisponibilità, si è rivelata solo il segno tangibile di un totale scollamento dalla realtà. I governi tecnici, del resto, solitamente non premiano le forze che li appoggiano.

«Quarto polo», «terzo pollo»: è già partito lo sfottò di Forza Italia
Ma i calcoli sbagliati non finiscono qui. In cuor suo il leader di Azione, infatti, pensava di poter svuotare Forza Italia – un po’ lo stesso obiettivo che a lungo aveva perseguito invano in solitaria anche Italia viva -. E, invece, a conti fatti, ha sottratto voti ai dem. Scenario, d’altronde, prevedibile, condividendo con il Pd lo stesso elettorato e cioè il popolo delle Ztl nelle grandi città. Hanno gioco facile, insomma, adesso dal quartier generale azzurro (Forza Italia si è attestata poco sopra l’8 per cento) a sbeffeggiare “Italia sul serio”. Lo ha fatto in maniera più sottile stanotte il coordinatore nazionale di Fi Antonio Tajani, definendo l’asse Renzi-Calenda «quarto polo» e in maniera più diretta poche ore fa il forzista Maurizio Gasparri in collegamento su La7, parlando invece di «terzo pollo» e di un certo «velleitarismo di figli di papà» che «non ci ha mai preoccupato». Almeno Calenda ha ammesso di non aver raggiunto l’obiettivo di fermare la destra. Anche se, in conferenza stampa, ci ha provato a gettare la croce addosso agli elettori: «Il Paese ha consapevolmente scelto di andare avanti sulla strada del populismo». Salvo poi correggere un po’ il tiro e dire: «In democrazia l’elettore è il re ma riteniamo che questa democrazia che porta i cittadini a votare con una democrazia da “Grande fratello” quello che promette di più e urla di più rappresenti un rischio mortale».

Renzi, fiutata l’aria, non ci ha messo granché la faccia
Non che da parte sua Renzi sia senza peccato. Certo, l’ex premier è capace di fiutare l’aria, come gli viene riconosciuto anche dai suoi detrattori. Il sospetto, quindi, che il ruolo da comprimario in questa campagna elettorale non l’abbia affatto subito esiste. Il calcolo di non metterci la faccia fino in fondo del resto adesso lo esime dai mea culpa e dalle analisi delle responsabilità. Tant’è che in queste ore non è neanche in Italia, ma a Tokyo per i funerali di Shinzo Abe. Le sue valutazioni sbagliate, però, restano. A cominciare dall’aver dato per morto il Movimento 5 stelle già prima che il governo Draghi cadesse. Quei grillini che invece hanno raddoppiato i consensi rispetto a “Italia sul serio”. Persino l’avvertimento del senatore di Rignano a Giorgia Meloni, lanciato nel corso di un comizio a Ercolano, quel «ogni due anni ho fatto cadere un governo», oggi desta una certa ilarità. Essere ago della bilancia, infatti, rimane stavolta solo una vana ambizione. Per lo meno Renzi un risultato a casa lo porta, però: l’alleanza con Calenda, infatti, gli ha permesso di tornare in parlamento con una pattuglia dei suoi. Cosa che non sarebbe accaduta quasi sicuramente se il leader di Azione non avesse stracciato l’intesa col Pd. Certo, adesso le due primedonne dovranno rimboccarsi le maniche se come dice il numero uno di Azione partirà un cantiere per «dare una rappresentanza stabile e organizzata all’Italia che cerca una politica seria». Sempre che riescano a convivere sotto lo stesso tetto e sempre che uno dei due non decida di fare le valige e sbattere la porta. Al momento sembrano d’accordo sulla traiettoria da seguire e cioè l’opposizione al futuro governo di centrodestra. Ma con caratteri politicamente volubili come i loro, nulla è scontato…